venerdì, 19 Aprile, 2024
Cultura

Arte e design digitali: azzardo o profezia?

L’utilizzo dei media digitali e i processi creativi ha generato il binomio creatività digitale, un composto che associa settori umanistici e tecnologia e che continua a manifestare effetti dirompenti nel mondo dell’arte. In molti casi si distingue una creatività digitale strumentale, come nei casi di libri o fotografie realizzati con strumenti digitali che rielaborano un prodotto in versione digitale e, in altri casi, si tratta invece di creatività digitale originale, cioè la creazione di opere nuove, concepite in origine come digitali. È quanto sta accadendo più recentemente nel mercato dei cosiddetti Non Fungible Token (NFT) che vengono venduti all’asta o nel mercato online a cifre iperboliche.

Ne parliamo con il Professor Giordano Pierlorenzi,  il Direttore dell’Accademia di belle arti di Ancona, la Poliarte, un’eccellenza da 50 anni, un laboratorio delle “Arti creative”, ovvero di quelle discipline come arte, industrial e interior design, grafica e web, fotografia, moda, cinema e new media con realizzazione di film e tanto altro. 

Il mondo dell’arte in quanto ricerca creativa e non solo, è naturalmente in continua evoluzione e l’avvento del digitale ha provocato una sorta di tsunami. Si può parlare pertanto, oltre alla modalità tradizionale intesa come relazione fisica unica e irripetibile tra l’artista-demiurgo e la materia da plasmare, di nuove diverse tipologie di opere d’arte di una sorta di nuova avanguardia, che oserei definire interessante, ma anche discutibile. Tra queste si possono annoverare: le NFT, Non Fungible Token, opere uniche, non intercambiabili con capacità di provarne l’autenticità e la proprietà anche con dispositivi crittografici collegabili alle blockchain. E poi, l’arte digitale che nasce direttamente dal computer, anche attraverso collage di frattali, animazione e scansioni varie. L’americano Beeple l’ha lanciata nel febbraio scorso 2021 con l’opera dal titolo “Everydays The first 5000 days”, opera per prima iscritta nei cataloghi di una casa d’aste. Ed Infine, l’opera invisibile di cui Salvatore Garau si è fatto originalissimo interprete. Il mio pensiero in proposito, è che in questa nuova avanguardia cambia profondamente l’assetto e il mood della comunità artistica composta dall’autore, l’opera e il fruitore. Nell’opera d’arte classica il fruitore nel suo contributo interpretativo fa leva sulla immaginazione, partendo da elementi plurisensoriali realistici, oggettivi: volumi, colori, intrecci rappresentativi, piani di sviluppo, tecniche e stilemi; nell’opera invisibile l’artista propone il titolo e un certificato con parametri che fungono in qualche modo da ‘istruzione per l’uso’ concedendo al fruitore totale libertà interpretativa. In questo caso il fruitore fa leva sulla fantasia, disposizione mentale avulsa dalla realtà, che perciò esplode in una sorta di costruzione creativa autonoma, un volo pindarico, diventando coautore. Per questo che mi sento di definire l’arte invisibile una sorta di psicoarte, dove il fruitore è il protagonista, il mental project. E con questo da psicologo dell’arte e del design mi sento di poter affermare, che tale tipologia d’arte potrà trovare anche spazio in sede psicoterapeutica.

Il concetto di creatività è stato utilizzato da molti illustri artisti come strumento di rottura delle regole. Penso a Salvador Dalì e, in primis, a Gianni Rodari in quel libro intitolato Grammatica della fantasia, in cui esalta l’immagine dell’errore creativo. E ciò che stanno tentando di trasmettere anche oggi questi nuovi artisti, attraverso le proposte di opere digitali?
Credo semplicemente che l’artista oggi si trovi davanti uno scenario sconfinato aperto dal digitale, peraltro da poco tempo sperimentato; e qui, l’artista vuole giustamente applicare la sua personale capacità di ricerca e sperimentazione che, come si sa, va avanti per tentativi ed errori. Errori che nella scienza possono essere deleteri, ma che nell’arte invece risultano sempre interessanti e probanti. Si pensi ad esempio all’Art soppraffaction, in cui si crea una vera comunità di artisti che uno dopo l’altro partecipano alla costruzione dell’opera aggiungendo qualcosa della propria poetica e stile. E poi, “Gli orologi liquidi” di Salvator Dalì, furono l’indicazione di una nuova prospettiva di ricerca nell’assurdo, che poi è stato definito surrealismo. Gianni Rodari, è insieme con Maria Montessori e Bruno Munari il pedagogista di riferimento a cui si ispira il metodo pedagogico da 50 anni dell’Accademia Poliarte di Ancona (cfr, G. Pierlorenzi, Design, ‘Il modello formativo dorico’, DeLettera, Milano 2009), e l’errore, se non autopercepito in modo esagerato come fallimento, è sempre una spinta alla crescita umana e professionale. Socrate nell’ironia, considerava l’errore un dispositivo pedagogico per conoscersi e conoscere il mondo. L’arte ha per oggetto la bellezza, che trae il significato etimologico dalla radice latina di bellum, come a dire che per ottenere l’armonia si debba partire dal caos: ‘per aspera ad astra’. L’arte d’altronde, è dialettica pura, conflitto interiore, rovello euristico, atto di generosità. 

Cosa pensa delle “opere invisibili” realizzate dall’artista Salvatore Garau e battute all’asta per alcune decine di migliaia di euro? 
Come ho già detto prima, trovo il campo di ricerca e sperimentazione creativa dell’artista Salvatore Garau, certamente una scommessa e una sfida interessanti. Una tipologia d’arte comunque, originale da seguire nel tempo e che certamente troverà seguaci. Un azzardo o una profezia? Il prosieguo sarà illuminante: ‘ai posteri l’ardua sentenza’ di manzoniana memoria. 

Una domanda provocatoria: se un suo studente presentasse in sede di esame o meglio ancora in sede di tesi una propria opera invisibile, quale sarebbe la reazione sua e della commissione d’esame?
Lo accoglierei tranquillamente, lo farei parlare ed illustrare la sua opera che capire se la sua, è una furbata, una provocazione o al contrario, un intelligente ed innovativo approccio alla progettazione e quindi acquisiti dati sufficienti, deciderei se giudicarlo positivamente o rinviarlo all’appello d’esame successivo, con la raccomandazione di provvedere comunque a presentare i necessari materiali documentali (disegni, file, modellino, ecc.) del suo lavoro progettuale come prescrive il regolamento d’accademia. In questo caso l’opera invisibile dovrà evolversi per forza in tangibile. La legislazione universitaria infatti, come tutte le leggi, arriva a posteriori a normare nuove situazione e fenomeni sociali. Proprio questa possibile eventualità di un progetto invisibile di uno studente però, mi spinge ad una considerazione sul nome Digital Art. Io la chiamerei piuttosto, Virtual Art, tenendo presente che il termine virtuale entra in uso con la filosofia scolastica medievale ed indica ciò che è in potenza – come l’idea-, che perciò si trasformerà in atto, prendendo la forma polisensoriale di oggetto. Nel design ad esempio, la metodologia di studio e di lavoro chiama questa fase di ricerca, metaprogettazione, da orientare al progetto come problem solving di un dato bisogno. Su questo l’arte e il design sono distanti. 

 * Responsabile dell’Osservatorio Nazionale Antiriciclaggio per l’Arte

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