venerdì, 29 Marzo, 2024
Attualità

I Pandora papers e la “fuga” di dati

Non solo paradisi fiscali e normativi ma anche questioni di cybersicurezza

Per ora è senza indagini delle Autorità la  più grande ipotesi di “fuga di notizie” della storia della finanza mondiale fino ad oggi. Giuridicamente, infatti, la meritoria, (se porterà frutti) nuova indagine del notissimo Consorzio Icij, composto da quei giornalisti di tutto il mondo che hanno tirato fuori anche lo scandalo dei Panama papers, per intenderci, non va confusa con un’inchiesta giudiziaria.

E ciò non solo perché le notizie di pubblico dominio non costituiscono mai – almeno nei nostri codici di rito – elementi di reato, ovvero (peggio) indicatori di colpevolezza. Ma anche e soprattutto perché, a fronte della corposa messe di dati caduti nella disponibilità (in quale modo?) del Consorzio, non è dato ricavare se vi siano indagini in corso, magari riservate, da parte delle competenti Autorità.

Per questo leggere nomi e redditi, sia di società che soprattutto di individuals, politici e famosi a vario titolo, ma anche di quelli che non lo sono, non autorizza a trarre conclusioni circa la valenza penale o morale dei loro comportamenti.

Tecnicamente, per quanto meno ovvio di quanto sopra dicevo sembri, detenere soldi e ricchezze in paradisi fiscali non costituisce reato. L’ho più volte scritto, anche in un mio recente volume.

Dovunque le ricchezze si conservino, per convenienze fiscali, personali, familiari, giuridiche e normative, basta che si dichiarino secondo le leggi vigenti nello Stato di detenzione e/o di residenza. E tutti i cosiddetti “paradisi fiscali” prevedono regole di ingaggio a tale riguardo. La tassazione e gli obblighi tributari sono agevolati, questo è vero. Ma ci sono.

Con le regole Ue in vigore sugli scambi di informazioni a fini fiscali, si potrà obiettare che non si sia risolto il problema, dato che l’evasione fiscale internazionale continua imperterrita a generare miliardi di mancati introiti per i bilanci degli Stati europei. Ma questo, ancora, non legittima nessuno a non credere che un patrimonio detenuto da un soggetto italiano non venga dichiarato al fisco del nostro paese solo perché mantenuto su un conto corrente alle Bermuda. Se il cittadino in questione non lo dichiarasse, sarebbe illecito pure il patrimonio detenuto in Italia.

I paradisi normativi

Piuttosto pericolosi sono invece quelli che chiamo i “paradisi normativi”, ossia le giurisdizioni dove non esistono controlli all’ingresso di beni e servizi, e dove, ad esempio, crei una società o immetti patrimoni in una fiduciaria senza atti pubblici. In altre parole, dove hai società di servizi – come quelle che hanno fornito i dati ai giornalisti in questo caso – che possono far sorgere situazioni giuridiche senza che le autorità lo sappiano!

Certo, e qui emerge il problema “cyber”, nemmeno il segreto professionale – da noi sacro, come quello investigativo e giudiziario – sembra essere stato rispettato in questo caso, posto che non è ancora chiaro, comunque, se l’ostensione dei dati sia stata volontaria (?) da parte dei services, ovvero da questi fuoriuscita con complicità interne (quindi, un atto di spionaggio, o accesso abusivo al sistema, da parte di qualche “dispettoso” che ha voluto rendere pubbliche le informazioni?).

Qui mi viene da dire a chi volesse commettere crimini fiscali o finanziari (ovviamente è un paradosso) di stare più “attento”, dopo l’avvento e la crescita dei crimini informatici, dato che nessuna base dati è più ritenuta inviolabile dall’esterno, e ne stiamo avendo esempi quotidiani.

Fa specie piuttosto apprendere, dalla stampa, che sia stata riscontrata una intensa vicinanza di queste società di servizi specializzate in meccanismi elusivi con banche e imprese di vari Stati. Se ci si astrae per un attimo dal pensare che chiunque può sbagliare o vendersi male la sua professionalità, è d’obbligo sottolineare che è normale che io pensi che la mia banca sia sicura, che nessuno possa avere informazioni sui miei risparmi o sugli investimenti, tranne le autorità, che pur sempre – ad abundantiam, siamo giuristi – dovrebbero essere autorizzate dalla magistratura a fronte di conclamate esigenze di approfondimento di indagini.

Bene. In questo caso, indagini (ancora) non ce ne sono.

L’offshore non è un inferno, ma lo può diventare, e allora si bonifica da ciò che non è legale.

La sicurezza dei dati, con tutto il rispetto – dovuto – alla professione giornalistica ed ai tanti meriti che il diritto di cronaca ha nel nostro Paese e a livello mondiale, resta davvero un problema sul quale riflettere.

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