Una vita per il cinema quella di Enzo De Camillis scenografo e regista impegnato dal 1977 dentro e fuori i set cinematografici. Tante le collaborazioni con importanti registi: Francesco Rosi, Giuseppe Tornatore, Neri Parenti, Lamberto Bava, Pasquale Squitieri, per fare qualche esempio, e dal 2008 anche la carriera da regista con docufilm impegnati come Uno studente di nome Alessandro e Un intellettuale in borgata con Leo Gullotta su Pier Paolo Pasolini. Ideatore e direttore artistico del premio La Pellicola d’oro che premia le maestranze del cinema e della fiction, De Camillis ha in serbo nuovi progetti che guardano al futuro soprattutto dei giovani che vogliono intraprendere il suo stesso mestiere. Lo scenografo e regista ci ha parlato approfonditamente di questo, della crisi del cinema, delle problematiche dei professionisti “dietro le quinte” dei film, della sua carriera e di quello che i grandi Maestri del Cinema gli hanno insegnato.
Il premio de La Pellicola d’oro, del quale è ideatore e direttore artistico, dal 2011 premia le maestranze del cinema che mai come in questo anno funesto si sono trovare in difficoltà, ma come vede la loro situazione in questo periodo? I cinema sono chiusi ma si continuano a girare film e serie tv…
“Il premio de La Pellicola d’Oro è il primo premio Europeo a riconoscere i mestieri e gli artigiani del cinema, un premio per le professioni nascoste dai titoli di coda che vuole sottolineare e promuovere quei lavori che sono l’ossatura di un film ma che le nuove generazioni non conoscono. 11 anni di attività che hanno coinvolto più di 3000 lavoratori con 800 partecipati entrati in cinquina e con 300 premiati. Un lavoro importante grazie anche allo staff di collaboratori che abbiamo formato nel tempo, come il nostro Ufficio stampa Francesco Fusco. Un premio che ha riconosciuto artisti e personaggi del cinema italiano come, Giuliano Montaldo, Ugo Gregoretti, Margherita Buy, Alessandro Haber, Giovanna Ralli, Carolina Crescentini, Claudio Amendola, Anna Foglietta, Matilde Gioli, Cinzia Th Torrini, Riccardo Tozzi e tanti altri.
Oggi i tempi sono molto difficili, vorrei ricordare che solo a Roma e nel Lazio abbiamo 8.000 liberi professionisti, 12.000 piccole e medie imprese raggiungendo una filiera di 250.000 professionisti che lavorano nel settore. Una vera e propria industria che viene poco considerata. Il momento, a causa della pandemia, è molto difficile, le troupe hanno difficoltà a girare e le produzioni prima di preparare un film giustamente cercano delle certezze. Le sale sono chiuse, è vero, si spera ad un DCPM meno rigoroso, vorrei però far notare che le regole di sanificazione nelle sale cinematografiche si sono sempre rispettate e non hanno avuto nessun caso di contagio, forse questo dato doveva essere valutato prima di chiuderle.
Spero ad una salvaguardia architettonica e culturale delle sale cinematografiche, non dobbiamo chiudere la sala perché ci sono le piattaforme. Le sale vanno protette per la loro attività culturale non per lo sfruttamento dello spazio commerciale per attivare sale Bingo o centri commerciali.
Lei chiuderebbe il Teatro dell’Opera o il Teatro Argentina, o la Scala di Milano, il Massimo di Palermo, e così via? Va difeso il concetto di sala per il cinema dove si proietta un film, non il “cinema a casa” come viene proposto, il cinema è in sala, a casa abbiamo la TV.
Ha seguito un progetto per la rivalutazione architettonica e artistica degli stabilimenti Studios?
“Grazie all’imprenditore Daniele Taddei che gestisce gli Studios (ex Studi De Paolis), sono stato incaricato di valutare la struttura architettonica e artistica dello stabilimento. Un lavoro molto interessante, entusiasmante che ha richiesto un impegno di ricerca storica e artistica non indifferente. Lo stabilimento è nato nel 1939 come struttura industriale bellica, (lavoravano l’acciaio), in quel periodo una legge decise che l’industria bellica era troppo vicino alla città, Roma, quindi l’attività fu portata in luogo più lontano. In quella occasione Angelo De Paolis comprò lo stabilimento e lo trasformò in studio cinematografico ma nel 1943 fu bombardato insieme al quartiere di San Lorenzo. Il primo film girato alla De Paolis fu del regista Giorgio Simonelli dal titolo Accidenti alla Guerra con Nino Taranto.
Lo stabilimento ha una storia meravigliosa: sono stati girati film come Lo Sceicco bianco di Federico Fellini, film storici degli anni ’60, ci hanno lavorato artisti stranieri come Dustin Hoffman in Alfredo Alfredo e tanti altri e il nostro amato Totò era talmente affezionato allo stabilimento al punto da avere dentro un suo camerino personale. Senza dimenticare il coraggio di Daniele Taddei che è riuscito ad acquisire gli Studios nel 1997 per rilanciarli, facendoli diventare il secondo stabilimento europeo dopo Cinecittà”.
“Alla brutta educazione imposta da una televisione commerciale: i giovani riconoscono come punto di arrivo professionale l’attore e il regista senza considerare che per diventare attore o regista ci vuole una preparazione accademica e un continuo studio durante la professione stessa. Non basta essere bellocci (che non guasta) ma bisogna essere preparati. Purtroppo la cosa triste è la non conoscenza dei 14 mestieri che sono dietro la macchina da presa: Direttore di Produzione, Capo Macchinista, Capo Elettricista, Sarta di Scena, tecnico di Effetti Speciali, Stuntman, Falegnami, pittori, stuccatori, ecc, professioni importanti e di soddisfazione che i giovani non conoscono. : “Un regista può avere le più belle idee e fantasie del mondo, ma se non ha una squadra di tecnici e artigiani più che bravi per realizzarle, quelle idee sono inutili”.
Rispetto a quando lei ha iniziato a lavorare come scenografo quale difficoltà riscontra oggi per chi vuole fare il suo mestiere?
“Un giovane che vuole intraprende un lavoro di scenografo deve essere cosciente di acquisire una preparazione accademica, di studio, (Accademia di Belle Arti, Architettura, Centro Sperimentale di Cinematografia) che non dovrà smettere di studiare, deve avere la pazienza di seguire un capo reparto come assistente e poi come arredatore che gli insegni la professione. Lo studio è importante e va acquisito, la professione e l’esperienza di stare su un set e sapere come muoversi è un’altra cosa e questo si ruba con gli occhi. È un lavoro di sacrificio, di rinunce, ma anche di grosse soddisfazioni. Un consiglio voglio dare ai giovani: in qualsiasi lavoro che affrontiamo, con un budget ricco o meno, si deve avere l’onestà culturale di dare sempre il meglio e di cercare sempre la qualità nel proprio lavoro”.
Enzo De Camillis: “Una scuola sui mestieri e l’artigianato per il cinema è la mia ambizione”. Tra i suoi tanti progetti c’è anche la creazione di corsi di avviamento professionale ai mestieri e all’artigianato per il cinema: è ancora solo un proposito da iniziare a realizzare nel 2021 o si è già mosso a riguardo?
“È una mia ambizione creare una vera e propria struttura per l’avviamento professionale per i mestieri del cineaudiovisivo, ci sono molte scuole oggi, di recitazione, di regia, insomma dei capo reparti, ma non esiste una scuola dei mestieri, nessuno si è mai interessato di strutturare un corso per i giovani sui mestieri e sull’artigianato. Nella cultura italiana abbiamo nel nostro DNA l’arte di lavorare con le mani, è nato negli anni ’50 il nostro Made in Italy con le sartorie del cinema oggi le più importanti al mondo, ma non abbiamo un ricambio generazionale, non ci sono giovani che intraprendono questo percorso perché non conoscono quali sono i mestieri e le loro competenze, quindi oggi siamo alla ricerca di sarte, tagliatori, falegnami, pittori di scena e vorrei precisare che quando parliamo di falegnami nel cinema intendiamo realizzatori di costruzioni. Ho conosciuto professionisti che hanno costruito le tre caravelle di Cristoforo Colombo o il pittore che ha dipinto la Cappella Sistina nel film Il Tormento e l’Estasi, questi sono i professionisti che ci mancano. E anche questi mestieri sono delle forme artistiche di tutto rispetto”.
Parlando nello specifico della sua carriera di scenografo che ricordo ha dei registi con i quali ha lavorato? Ha qualche aneddoto che le è rimasto impresso?
“Ho lavorato con molti registi come Pasquale Squitieri, Steno, Tornatore, Giancarlo Giannini, Francesco Rosi e tanti altri e tutti mi hanno insegnato qualcosa, sono state importanti esperienze professionali e di vita. E proprio con Francesco Rosi, nel film Dimenticare Palermo con Mimi Rogers e Jim Belushi, un lavoro del 1990, abbiamo ricostruito il festino di Santa Rosalia a Palermo, una Tonnara ad Addaura e, presso la spiaggia di Mondello, un bar e un intero stabilimento balneare, un lavoro di circa due settimane di allestimento oltre la progettazione e la preparazione. La sera prima di girare la scena fu fatto un sopralluogo con Francesco Rosi e con il Direttore della fotografia Pasqualino De Santis. Erano le 20.00 e per ragioni di inquadrature e di luce mi chiesero di ribaltare la scena: 1500 mq da ricostruire nello spazio opposto. Fui preso dallo sconforto ma grazie alla produzione (la CecchiGori Group), grazie a 3 ruspe e circa 30 operai lavorando di notte alle 10 del mattino eravamo pronti per girare. Durissimo ma ci siamo riusciti. Il Cinema è anche improvvisazione su esigenze dettate da scelte artistiche e tecniche“.
E nel ruolo di regista come si trova?
“Ho iniziato ad interessarmi di regia nel 2008, è stato un susseguirsi di coincidenze, una crisi professionale come scenografo, c’era sempre meno la possibilità di fare ricerche e progettare scenografie e in più un’esperienza personale molto dura che mi ha dato la forza di raccontare una storia vera, una storia su una ingiustizia sociale. Debuttai con un cortometraggio dal titolo 19 Giorni di Massima Sicurezza con Luisa Ranieri, una storia su le detenzioni cautelative. Da quel momento decisi di dare una svolta e raccontare le ingiustizie sociali, i miei lavori hanno sempre un racconto con un tema sociale. Il cinema è un mezzo per raccontare, per far riflettere e sottolineare problemi che spesso la gente, distratta dagli impegni giornalieri, non nota. È un lavoro di ricerca, di studio e di aggiornamento giornalistico continuo. È un modo per fotografare una realtà e raccontarla per chi non la conosce. È un lavoro ancora più impegnativo per lo scenografo. I lavori che mi hanno dato più soddisfazione sono Uno studente di nome Alessandro, che racconta le vicende di un ragazzo ucciso durante un conflitto a fuoco tra polizia e terroristi nel 1982, un lavoro difficile con ricerche in tribunale ma con la soddisfazione di un premio speciale ai Nastri d’Argento del 2012; e il docufilm Un Intellettuale in Borgata con Leo Gullotta, un lavoro su Pier Paolo Pasolini, un film che ha ricevuto molti premi e proiettato in diversi paesi esteri, Stoccolma, Buenos Aires, Sofia, ecc. Ora sono in preparazione di un docufilm e una mostra sul i 100 anni dalla nascita di P. P. Pasolini.