Dopo 156 giorni dall’inizio dell’anno, sabati e domeniche compresi, i contribuenti italiani possono finalmente ‘respirare’: da venerdì, secondo l’elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, è ufficialmente scattato il giorno della liberazione fiscale, noto nei paesi anglosassoni come tax freedom day. Un indicatore simbolico che misura quanto tempo, in termini di giorni, occorre lavorare in un anno per saldare l’intero ammontare di imposte, tasse e contributi dovuti allo Stato. Un esercizio teorico, come sottolineano gli stessi analisti della Cgia, ma utile a rendere tangibile, e facilmente comprensibile, il peso della pressione fiscale in Italia. Da ieri, fino al 31 dicembre, ogni euro guadagnato dal cittadino medio italiano non servirà più per finanziare l’apparato pubblico, ma per vivere e migliorare la propria condizione personale ed economica.
Il calcolo prende avvio dal Pil nazionale stimato per il 2025, pari a 2.256 miliardi di euro. Dividendo questa cifra per i 365 giorni dell’anno si ottiene un Pil giornaliero medio di circa 6,2 miliardi. Poi, sulla base delle previsioni di gettito fiscale e contributivo (962,2 miliardi di euro), si determina quanti giorni servono per raggiungere tale cifra. Il risultato: 156 giorni lavorati per soddisfare le richieste fiscali dello Stato.
Dal minimo con Berlusconi al picco con Monti
Nel dettaglio, questo carico comprende Irpef, Ires, Irap, Iva, accise, addizionali, tasse locali, contributi previdenziali e altre imposte che alimentano l’intera macchina pubblica: dalla sanità alla scuola, dalla sicurezza alla giustizia. Negli ultimi trent’anni, il dato sulla pressione fiscale è variato sensibilmente. Il livello più ‘leggero’ si registrò nel 2005, durante il governo Berlusconi, con una pressione fiscale pari al 38,9% del Pil. Di contro, il record massimo fu raggiunto nel 2013 con i governi Monti e Letta, toccando il 43,4% del Pil.
Nel 2025, secondo le stime contenute nel Documento di economia e finanza, la pressione fiscale si attesterà al 42,7%, in leggero aumento rispetto al 2024 (quando era al 42,6%). Ma la Cgia precisa che il dato andrebbe corretto tenendo conto del passaggio dalla decontribuzione a favore dei lavoratori dipendenti a un sistema di bonus fiscali. Se si considerasse quest’ultimo aspetto, la pressione fiscale effettiva scenderebbe al 42,5%, anticipando il tax freedom day al 5 giugno.
Fisco e percezione
È però importante non cadere in facili semplificazioni. Un aumento della pressione fiscale, osservano gli esperti, non significa automaticamente un incremento delle tasse. Spesso, come negli ultimi anni, si tratta di una conseguenza indiretta di dinamiche economiche e misure di riforma. Nel 2024, a esempio, l’aumento del gettito è stato alimentato da vari fattori: rinnovi contrattuali, erogazione di arretrati nel settore pubblico, maggiore occupazione e crescita delle imposte sostitutive sui redditi da capitale. Nel 2025, le nuove detrazioni Irpef e il bonus per i lavoratori dipendenti sotto i 20mila euro agiscono anch’essi sulla distribuzione del carico fiscale, con effetti non immediatamente visibili nei dati aggregati.
Tra le modifiche fiscali introdotte negli ultimi due anni, si segnalano: aumento dell’Iva su alcuni prodotti per l’infanzia e l’igiene femminile; stretta sulle detrazioni fiscali per i redditi elevati; aumento della tassazione su tabacchi e cripto-attività; riduzione degli incentivi fiscali per ristrutturazioni e risparmio energetico. Ma l’impatto complessivo di queste misure viene definito dalla Cgia “modesto” sul piano quantitativo.
Gli evasori
C’è poi un’altra faccia della medaglia: l’evasione fiscale. Per quasi 2,5 milioni di italiani, secondo i dati Istat relativi al 2022, il ‘giorno della liberazione fiscale’ non ha alcun valore. Sono lavoratori in nero, senza contratto, oppure titolari di attività irregolari che sfuggono completamente al radar del fisco. In valore assoluto, le regioni con più lavoratori irregolari sono: Lombardia(379.600 persone), Lazio (319.400) e Campania (270.100). Se si guarda invece al tasso di irregolarità (cioè la percentuale di lavoratori in nero sul totale), la Calabria guida la classifica con un preoccupante 17%, seguita da Campania (14,2%), Sicilia (13,7%) e Puglia (12,6%). La media nazionale è del 9,7%.
Un fenomeno strutturale, che pesa in maniera significativa sui conti pubblici e altera la distribuzione dell’onere fiscale: meno tasse pagano alcuni, più pesante diventa il carico per chi è in regola.
L’Italia tra i Paesi Ue più ‘tartassati’
Il confronto europeo mostra come l’Italia continui ad essere tra iPaesi Ue con la più alta pressione fiscale. Nel 2024 Danimarca(45,4%), Francia (45,2%), Belgio (45,1%), Austria (44,8%), Lussemburgo (43,0%) e Italia (42,6%).
Il nostro Paese si piazza sesto su 27 per carico fiscale sul Pil. E non va meglio se si guardano i giorni necessari a ‘liberarsi’ dal fisco Danimarca (166 giorni), Francia e Belgio (165), Austria(164), Lussemburgo (157) e Italia (156).
La media Ue è di 148 giorni, ben 8 in meno rispetto al dato italiano. Germania ne richiede 149, la Spagna solo 136. Un differenziale che, per quanto indicativo, evidenzia un problema strutturale di competitività e sostenibilità fiscale.