16 marzo 1978: una data che rimarrà per sempre impressa nella memoria della storia della Repubblica italiana. Quella mattina, a Roma, un commando delle Brigate Rosse tese un agguato in via Fani, uccidendo i cinque uomini della scorta di Aldo Moro e rapendo lo statista democristiano, che sarebbe stato assassinato dopo 55 giorni di prigionia. Un attacco diretto al cuore dello Stato, un tentativo di destabilizzare la democrazia che ancora oggi riecheggia nelle istituzioni e nella memoria collettiva del Paese. Intorno alle 9, in via Fani, il commando delle Brigate Rosse entrò in azione con una precisione militare. In pochi secondi, un gruppo di fuoco sbarrò la strada alle due auto che trasportavano Aldo Moro e la sua scorta, aprendo il fuoco con mitragliatrici e armi automatiche.
Cinque uomini caddero sotto i colpi delle Brigate Rosse: Oreste Leonardi, il caposcorta e uomo di fiducia di Moro; Domenico Ricci, l’autista della Fiat 130 sulla quale viaggiava Moro; Raffaele Iozzino, che tentò di reagire, ma fu colpito mortalmente; Giulio Rivera, freddato mentre usciva dalla vettura: Francesco Zizzi, sopravvissuto ai primi colpi, ma finito con un colpo alla testa.
Moro fu rapito e trasportato in un luogo segreto. Per 55 giorni il Paese visse con il fiato sospeso, mentre le Brigate Rosse chiedevano uno scambio di prigionieri e lo Stato si trovava diviso sulla strategia da adottare. Il 9 maggio 1978, il corpo senza vita di Aldo Moro fu ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata in via Caetani, a metà strada tra le sedi della Dc e del Pci.
Un attacco allo Stato
La strage di via Fani e il successivo assassinio di Moro furono un attacco senza precedenti allo Stato italiano e ai suoi valori democratici. Le Brigate Rosse volevano destabilizzare il sistema, colpire una figura simbolica del compromesso storico tra Democrazia cristiana e Partito comunista italiano, e imporre la loro ideologia rivoluzionaria con la violenza. Ma l’attentato generò l’effetto opposto: invece di piegarsi al ricatto terroristico, lo Stato italiano reagì con fermezza, rafforzando la lotta alle organizzazioni eversive. Il sacrificio della scorta e lo stesso tragico destino di Moro furono il punto di svolta che portò alla sconfitta del terrorismo brigatista negli anni successivi.
Le reazioni istituzionali e il ricordo di oggi
Ogni anno, il 16 marzo, le istituzioni italiane ricordano la strage di via Fani e il sacrificio dei cinque agenti della scorta. Anche ieri, a 47 anni da quel tragico evento, il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha sottolineato come “ricordare quell’attentato significa onorare la memoria di uomini coraggiosi e riaffermare il valore della libertà che sconfisse terrorismo e paura”. Il Presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ha ribadito che “coltivare la memoria di quel tragico giorno significa rendere omaggio alle loro vite, al loro coraggio e riaffermare i valori della democrazia”. Parole di profonda commozione sono giunte anche dal Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ha parlato di “un’eredità preziosa che ci sprona a rafforzare il nostro impegno nella difesa della sicurezza di tutti i cittadini”.
L’importanza della memoria storica
La strage di via Fani rappresenta un monito per le nuove generazioni: la libertà e la democrazia non sono mai conquiste definitive, ma vanno difese ogni giorno. La Ministra per le Riforme Istituzionali, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha ricordato che “la reazione dell’Italia, unita, portò alla vittoria della democrazia sul terrorismo”. Un concetto ribadito anche dal Vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè, secondo cui “gli uomini della scorta sacrificarono la loro vita per difendere i valori fondanti della democrazia dal terrorismo”. Un pensiero condiviso dal Sottosegretario alla Difesa Matteo Perego di Cremnago, che ha affermato: “Ricordarli non è solo un dovere, ma un impegno collettivo che rende ancora più significativa l’importanza di preservare i valori di democrazia, pace e sicurezza alla base della nostra società”.
Il lascito di Moro e della sua scorta
Il sacrificio di Aldo Moro e dei cinque uomini della sua scorta è ancora oggi un simbolo di resistenza ai tentativi di sovvertire la democrazia con la violenza. La Senatrice di Forza Italia Licia Ronzulli ha ricordato che “quel giorno ha spinto l’Italia a ritrovare un senso profondo di unità, a difendere le istituzioni democratiche e a contrastare la furia ideologica brigatista”. Parole simili sono state espresse da Piero Fassino, Vicepresidente della Commissione Difesa della Camera, che ha sottolineato “quanto dolorosa è stata la lotta per difendere la democrazia”, e dalla Deputata del PdAnna Ascani, che ha definito la strage di via Fani “una delle pagine più dolorose della storia del nostro Paese”. A distanza di quasi mezzo secolo, la strage di via Fani resta una ferita aperta e un insegnamento per il futuro. La deputata di Azione Daniela Ruffino ha avvertito: “Oggi affrontiamo un terrorismo diverso e più insidioso, ma le finalità sono sempre le stesse: conculcare la libertà e la democrazia. A tutti noi sia di monito la memoria di Aldo Moro”.
Infine, il deputato di Forza Italia Francesco Battistoni ha ricordato come “oltre a omaggiare lo statista, è ancora attuale la sua lezione di politica e dialogo”. Il senatore di Italia Viva Enrico Borghi ha concluso il suo messaggio con un pensiero toccante: “È riannodando quei fili sparsi che potremo ricostruire un futuro degno della memoria di chi si è sacrificato per noi”.