sabato, 28 Settembre, 2024
Ambiente

“Senza tracciamento i rifiuti plastici scompaiono dai radar ufficiali”

Nuova intervista in esclusiva a Claudia Salvestrini, direttore generale di PolieCo, il Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene, che, guidandoci nei meandri della raccolta e riciclo dei rifiuti, ne denuncia una certa opacità e la dannosità dell’“usa e getta” esasperato.

Nella nostra precedente chiacchierata la dottoressa Claudia Salvestrini, direttore generale del consorzio dei rifiuti dei beni in polietilene PolieCo, ci ha illustrato i punti di debolezza del sistema di gestione dei rifiuti. Abbiamo cercato di capire insieme a lei perché.

Il problema di una quota di riciclo dei rifiuti ancora bassa riguarda solo la plastica?
No, riguarda tutti i materiali. I problemi si registrano a livello generale nel mondo del riciclo, non è solo la plastica il demone. Anche in altri comparti, penso ad esempio ai Raee[i rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche e altri -ndr], non credo che brillino per i risultati. Purtroppo, in Italia si è troppo parlato di raccolta e non di riciclo. Un conto è ciò che raccolgo e un conto ciò che riciclo, perché gli operatori del settore raccolgono di tutto, tanto e male, ma poi l’avviato a riciclo è di tutt’altro andamento. Si dovrebbe evitare di dare dei numeri a caso. Purtroppo in Italia manca una certificazione dei dati, manca a tal punto che la Commissione Ambiente europea ha ritenuto non attendibile i dati italiani. Potremmo migliorare questo aspetto, attraverso la tracciabilità dei rifiuti che oggi di certo è molto carente.

Su questo piano abbiamo dei seri problemi?
Quando sono stata audita in Commissione ecomafie ho messo in evidenza che elevate quantità di rifiuti vengono sottratte ai flussi regolari, con gravi rischi per l’ambiente e la salute.

Di chi è la responsabilità?
La responsabilità è di chi non controlla le filiere, ancora una volta ci riferiamo alla tracciabilità. Dovrebbe essere modificato il sistema dei corrispettivi che vanno calibrati sull’effettivo rigenerato in uscita dagli impianti e non su quello in entrata.

Chi dovrebbe controllare?
I Consorzi sono nati per questo e non per sostituirsi all’impresa, erano nati proprio per tracciare il rifiuto e controllare. Quando arrivano gli organi di controllo, il danno è già fatto. Il PolieCo si occupa di rifiuti speciali, non urbani, e i due filoni non si dovrebbero intersecare. Il rischio però è che, vista l’esistenza di un incentivo sul rifiuto urbano, alcune imprese possano avere interesse a far lievitare le quantità, magari mescolando gli urbani con i rifiuti speciali. In questo modo la tracciabilità si perde.

Come potremmo noi cittadini contribuire a migliorare la situazione?
Innanzitutto acquisendo la consapevolezza che le risorse non sono infinite e cambiando gradualmente le nostre abitudini, partendo da un consumo critico, teso alla riduzione della produzione dei rifiuti. Si dovrebbe evitare di comprare, ad esempio, l’insalata lavata contenuta in un sacchetto da aprire e buttare via. Quel sacchetto viene utilizzato una sola volta e intanto contribuisce al consumo della materia prima vergine necessaria per produrlo. Bisognerebbe favorire i prodotti sfusi o ricorrere al sistema della cauzione. Un esperimento, in tal senso, lo abbiamo fatto sostituendo la vaschetta di polistirolo per contenere il pesce con una cassetta riutilizzabile. Sono cassette che, una volta rotte, si possono riparare e immettere di nuovo sul mercato e quando arrivano a fine vita, invece possono essere riciclate facilmente.

E da parte dei produttori ci sono responsabilità?
Sì, perché la nuova sfida ambientale richiama i produttori a sperimentare nuovi prodotti, che devono essere pensati fin dall’origine in termini di impatto che possono arrecare all’ambiente. L’eco-design è un tassello fondamentale della rivoluzione green e anche la ricerca deve essere al servizio di un modo diverso di pensare i prodotti. Pensiamo, ad esempio, allo sbiancante per i denti o agli scrub: che necessità c’è di utilizzare microplastiche quando esistono delle alternative valide ricorrendo a materie di origine vegetale? A questo si aggiunge poi, che più plastiche diverse si utilizzano per uno stesso prodotto e più diventa difficile la selezione e il corretto avvio a riciclo. Ci sono vaschette per alimenti che hanno magari un involucro di carta, poi una parte in polipropilene, il film in polietilene: così tanti materiali diversi insieme di certo non favoriscono il riciclo. Per non parlare della necessità di dotare le lavatrici di micro filtri per arginare la liberazione di microplastiche sprigionate dal lavaggio di indumenti in pile. Il ruolo dei produttori è di certo determinante nella sfida ecologica di questo momento storico.

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