venerdì, 20 Settembre, 2024
Economia

Eurozona, rischio deindustrializzazione, Italia e Spagna le peggiori

Le crisi 2008-2009 e 2012-2013 hanno fiaccato la platea delle imprese manifatturiere presenti in Italia, ma hanno anche contribuito a rafforzare quelle che sono riuscite a sopravvivere. Le aziende italiane, soprattutto quelle del nordest, rispetto alle concorrenti straniere, hanno anche superato con maggiore slancio gli effetti negativi provocati dalla crisi pandemica del 2020-2021. Ma sul campo sono rimaste tante imprese e non solo in Italia: sebbene la nostra industria in senso stretto contribuisca al Pil nazionale “solo” per il 21 per cento, tra il 2007 e il 2022 il valore aggiunto reale dell’attività manifatturiera italiana è sceso dell’8,4 per cento, in Francia del 4,4 per cento, mentre in Germania la variazione è stata positiva e addirittura pari al +16,4 per cento. Tra i principali Paesi europei, solo la Spagna, con un meno 8,9 per cento, ha registrato un risultato peggiore del nostro.

Deindustrializzazione galoppante

Secondo la Cgia di Mestre dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, gli ultimi 15 sono stati gli anni più difficili per la gran parte dei Paesi occidentali. Per quanto concerne l’Italia, ad esempio, la grande recessione del 2008-2009, la crisi dei debiti sovrani del 2012-2013, la pandemia del 2020-2021 e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia avvenuta nel 2022 hanno profondamente cambiato il volto della nostra economia. Tra il 2019, anno che precede lo scoppio della più grande crisi economica/sanitaria avvenuta a partire dal secondo dopoguerra, e il 2022, il settore manifatturiero italiano ha realizzato un rimbalzo superiore a quello registrato nel resto degli altri principali Paesi Ue, ma nessuno è più riuscito a riprendere la situazione antecedente al 2008.

Giù petrolifero, su farmaceutica

Il comparto che nell’industria italiana ha subito la contrazione negativa del valore aggiunto più pesante in questi ultimi 15 anni è stato il coke e la raffinazione del petrolio (-38,3 per cento). Seguono il legno e la carta (-25,1 per cento), la chimica (-23,5 per cento), le apparecchiature elettriche (-23,2 per cento), l’energia elettrica/gas (-22,1 per cento), i mobili (-15,5 per cento) e la metallurgia (-12,5 per cento). Per contro, invece, i settori che esibiscono una variazione anticipata dal segno più sono i macchinari (+4,6 per cento), gli alimentari e bevande (+18,2 per cento) e i prodotti farmaceutici (+34,4 per cento). Tra tutte le divisioni, la maglia rosa è ad appannaggio dell’estrattivo che, sebbene possegga un valore aggiunto in termini assoluti relativamente contenuto, in 15 anni ha registrato un incremento spaventoso pari al 125 per cento.

Basilicata su, grazie all’estrattivo

Sempre tra il 2007 e il 2022, il valore aggiunto reale dell’industria del Mezzogiorno è crollato del 27 per cento, quello del Centro del 14,2 per cento e del Nordovest dell’8,4 per cento. Solo il Nordest ha registrato un risultato positivo che ha toccato il +5,9 per cento. A livello regionale sono le imprese della Basilicata ad aver registrato la crescita del valore aggiunto dell’industria più importante (+35,1 per cento). Risultato che secondo l’Ufficio studi della CGIA è in massima parte ascrivibile agli ottimi risultati conseguiti dal settore estrattivo, grazie alla presenza di Eni, Total e Shell nella Val d’Agri e nella Valle del Sauro. In seconda posizione si colloca il Trentino Alto Adige (+15,9 per cento) che ha potuto contare sullo score del settore agroalimentare, della distribuzione di energia, delle acciaierie e delle imprese meccaniche. In terza posizione, invece, scorgiamo l’Emilia Romagna (+10,1 per cento) e appena fuori dal podio il Veneto (+3,1 per cento). Dal quinto posto in poi tutte le regioni italiane presentano una variazione di crescita del valore aggiunto negativa. Le situazioni più critiche si sono verificate in Calabria (-33,5 per cento), in Valle d’Aosta (-33,7 per cento), in Sicilia (-43,3 per cento) e in Sardegna (-52,4 per cento). Milano, Torino e Brescia rimangono le province più industriali del Paese. Crescita boom di Trieste, Bolzano e Parma.

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