I nuovi e vecchi nemici delle imprese si sommeranno in autunno provocando una catena di fallimenti. Se la previsione della società di analisi socio economiche, Cgia di Mestre, sarà confermata significa un
autunno all’insegna di un record negativo di chiusure di attività.
Fallimenti, cosa aspettarsi
Ancorché il numero delle chiusure registrato negli ultimi due anni non sia particolarmente elevato, il rischio che, dal prossimo autunno, torni ad aumentare in misura preoccupante è alquanto probabile. “Tra il deterioramento del quadro economico generale”, evidenzia la Cgia, ci sono diversi motivi, “ascrivibile al caro energia-carburante e all’impennata dell’inflazione – l’impossibilità di cedere i crediti
acquisiti con il superbonus 110 per cento – che ammontano a circa 4 miliardi di euro – e i mancati pagamenti della Pubblica Amministrazione nei confronti dei propri fornitori, che secondo l’Eurostat sono almeno 55,6 miliardi di euro”. Se questi sono i nemici altrettanti evidenti per la Cgia, sono le ricadute negative.
Imprese vittime di inadempienze
Per gli analisti economici molte attività commerciali e produttive rischiano di dover portare i libri in tribunale. “Con una specificità tutta italiana”, prosegue la Cgia “per molte di queste imprese la
chiusura definitiva non sarà causata dall’impossibilità di pagare i propri debiti, ma per crediti inesigibili, ovvero per insolvenze in grandissima parte imputabili alle inadempienze della nostra Pubblica amministrazione”.
Il crollo al rientro dalle ferie
Per la Cgia è in arrivo l’onda lunga. Ma perché gli artigiani mestrini ipotizzano che al rientro dalle ferie i fallimenti potrebbero subire un forte innalzamento?
“Se guardiamo la serie storica degli ultimi 10 anni, il picco massimo delle “chiusure” è stato raggiunto nel biennio 2014-2015, ovvero 1,5/2 anni dopo la crisi del debito sovrano che ha colpito pesantemente il
nostro Paese”, analizza la Cgia, “Pertanto, come in tutte le recessioni, gli effetti si esplicitano successivamente. Cosicché, dopo le difficoltà causate dal Covid nel biennio 2020-2021 e a seguito degli effetti negativi riconducibili alla guerra in Ucraina scoppiata verso la fine di febbraio, a partire dal prossimo autunno il numero dei fallimenti potrebbe tornare a crescere e subire una brusca impennata nel corso del
2023”.
Da 8 anni trend in discesa
Negli ultimi 10 anni, comunque, il numero massimo di fallimenti si è registrato nel 2014 (14.735 casi). Dopodiché, c’è stata una progressiva riduzione che si è arrestata nel 2020 (7.160 casi). “Questo dato è stato sicuramente condizionato dalla particolarità di quell’anno”, spiega la Cgia, “a causa del lockdown, infatti, ricordiamo che anche i tribunali fallimentari sono stati chiusi per molti mesi, influenzando
negativamente la produttività degli uffici, anche in termini di sentenze. Nel 2021, infine, il dato ha iniziato a risalire e alla fine dell’anno si è attestato a 8.498 unità”
Norme incerte, imprese in crisi
Davanti a norme incerte che da mesi stanno condizionando negativamente l’applicazione del superbonus del 110 per cento, gli intermediari finanziari (banche, istituti finanziari, etc.) hanno praticamente
bloccato gli acquisti del credito. “Attualmente sono oltre 5 i miliardi di euro di crediti in attesa accettazione; di questi, circa 4 si riferiscono a prime cessioni o sconti in fattura”, fa presente la Cgia,
“A fronte di questa situazione, le imprese del comparto casa (edili, dipintori, installatori impianti, falegnami, etc.) non sono più in grado di fare gli sconti in fattura. E con crediti fiscali già acquisiti e non
cedibili, che in molti casi ammontano a centinaia di migliaia di euro per singola azienda, molte realtà si trovano in crisi di liquidità e sul punto di sospendere i cantieri, non essendo più in grado di pagare i
fornitori”.
La stock dei debiti della PA
Ma la situazione più problematica rimane lo stock dei debiti commerciali di parte corrente in capo alla Pubblica Amministrazione che “continua vergognosamente ad aumentare”, rivela l Cgia, “Nel 2021, infatti, i
mancati pagamenti ammontavano a 55,6 miliardi di euro. Ciò vuol dire che le imprese che lavorano per la PA non hanno ancora incassato una cifra spaventosa che è pari al 3,1 per cento del Pil nazionale; segnaliamo, infine, che nessun altro paese presente in UE registra un’incidenza così elevata”.
Il caso Sicilia
I settori più a rischio sono il commercio e le costruzioni: situazione critica a latina, Ragusa, Trapani e Siracusa Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, anche nei primi cinque mesi di quest’anno il numero dei fallimenti è in calo (-20,6 per cento). “In termini assoluti sono stati 3.133 gli imprenditori che hanno portato i libri in tribunale (-815 rispetto allo stesso arco temporale del 2021)”, calcola la Cgia, “I settori più a rischio sono il commercio e l’edilizia che, in questa prima parte dell’anno, hanno registrato
rispettivamente 722 e 577 “chiusure” Sempre in questa prima parte del 2022, a livello regionale solo la Liguria ha visto aumentare il numero di fallimenti; tutte le altre, invece, sono in deciso calo A livello
provinciale, infine, preoccupa la situazione di Verbano-Cusio- Ossola, Latina, Ragusa, Trapani e Siracusa”.