Il missionario comboniano padre Giulio Albanese ha dato alle stampe un nuovo libro dal titolo graffiante: “Libera nos Domine. Sulla globalizzazione dell’indifferenza e sull’ignoranza dell’idiota giulivo”, che invita ad armarsi maggiormente di cultura e dialogo nell’affrontare le devastazioni del Covid-19.
Padre Giulio, chi è l’“idiota giulivo”?
L’idiota giulivo è il semplificatore, colui che divide lo scenario tra buoni e cattivi e a cui manca la
capacità di comprendere la complessità del mondo inteso come “villaggio globale” in cui viviamo. È
l’incompetente che non solo è inconsapevole di esserlo, ma non avendo alcuna competenza fa dei
danni enormi. Gli effetti di questa patologia sono sotto gli occhi di tutti. Poco importa che si tratti
della questione migratoria o delle divergenze di opinione sulle vaccinazioni, il confronto è spesso
segnato da riottosità e polemiche a non finire. Il rischio, sempre in agguato per tutti, è quello
d’essere contaminati dal virus della stupidità di cui, per così dire, l’idiota giulivo è l’archetipo. Alla
comunità cristiana, come d’altronde a tutte le agenzie educative in campo, il compito di contrastare
questo indirizzo promuovendo il discernimento, l’esercizio del pensiero.
Cosa intende per “discernimento”? Approfondimento, riflessione, dialogo?
In sostanza significa far girare i neuroni, anche quelli dell’anima, per operare scelte che rispondano al bene comune, che è quello condiviso. Da questo punto di vista, “non ci sono credenti e non credenti, ma solo pensanti e non pensanti”, come diceva il compianto cardinale Carlo Maria Martin.
Si tratta di cogliere la linea di demarcazione, tra uomini e donne che credono nel riscatto, nella possibilità di cambiamento, che hanno il coraggio di vivere la sofferenza, di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e coloro che invece, uomini e donne del nostro tempo, che hanno rinunciato alla lotta tirando i remi in barca, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero di guardare oltre. La sfida, evangelicamente parlando, è quindi quella del discernimento, nella capacità di saper leggere i segni dei tempi alla luce del messaggio evangelico. Su di un piano più squisitamente laico, occorre affermare il primato della riflessione su ogni genere di banalizzazione e chiacchiericcio, evitando di scadere nei pregiudizi o nei luoghi comuni.
Lei parla addirittura di “crassa ignorantia” da parte di molti fedeli rispetto ai dettami del Vangelo…
Il fatto che vi siano molti “devoti” o presunti tali che vanno a messa alla domenica e poi ostentano insofferenza nei confronti dei migranti la dice lunga. Sono vuoti da riempire che esigono il dono della conversione. Vittorio Bachelet, vittima delle spietate Brigate Rosse, diceva: “Non si vince l’egoismo mostruoso che stronca la vita se non con un supplemento di amore”. Non resta allora che fare silenzio, riflettendo e soprattutto pregando sul mistero del dolore di fronte a quei corpi, straziati dal Mare Monstrum, cui è stato negato il diritto di “fuggire” e dunque di “esistere”. Per non parlare dei sopravvissuti, a cui è stato attribuito un reato incomprensibile alle menti pensanti, quello di una presunta clandestinità, quasi fosse un peccato essere riusciti a salvare la pelle.
Ha scritto questo libro sotto assedio del Covid-19, va inteso come un suggerimento su
come affrontare la post-pandemia?
È chiaro che il mondo, inteso come società globalizzata, sarà molto diverso da come lo abbiamo lasciato alla vigilia di questa emergenza sanitaria. D’altronde, lo stesso Papa Francesco aveva prefigurato, in più circostanze, a credenti e non credenti, uno scenario inedito: “Questa non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca”. Si tratta di un nuovo capitolo della Storia che, come credenti, dobbiamo scrivere insieme coltivando una spiritualità più intensa, un sapere più alto, una capacità di riflettere più vigorosa, un’intelligenza morale che ponga un freno al selvaggio e prorompente interesse di parte.