In questi tempi pandemici ci si è accorti di una nuova forma di diplomazia internazionale, quella dei vaccini, utile a farci comprendere che, detenere il monopolio di un bene essenziale alla sopravvivenza mondiale, sia una arma più potente del nucleare. È il caso dei vaccini, del petrolio, ma anche delle cosiddette terre rare, la cui importanza è destinata a crescere perché fondamentali nei processi di transizione verso sistemi energetici più “puliti”. L’80% circa della loro offerta mondiale è controllata da un solo paese: la Cina
L’importanza delle terre rare e del litio
Si tratta di diciassette elementi (Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio, Lutezio, l’ittrio e lo scandio), tutti indispensabili all’eco-industria. Essi hanno particolari proprietà: esercitano un magnetismo resistente anche alle alte temperature. Per questo sono indispensabili nei prodotti tecnologici di nuova generazione, dagli hard disk dei pc ai satelliti, dal laser alle macchine fotografiche digitali, dalle leghe per batterie ai sistemi d’arma computerizzati, dai catalizzatori per auto alle macchine a raggi x alle lampade fluorescenti, dai cellulari agli iPod, dai motori elettrici ibridi alle fibre ottiche, dai proiettili teleguidati ai radar di ultima scoperta. In campo militare le terre rare sono indispensabili per le “armi a energia diretta”, che rappresentano l’ultima frontiera delle nuove armi. Oltre alle terre rare, un metallo cruciale per la mobilità elettrica e per la transizione energetica è il litio. Serve a creare le batterie agli ioni di litio, la tecnologia più diffusa e controllata, anche questa, per quasi il 70% da Pechino.
Perché sono chiamate “rare”
In realtà, queste risorse naturali non sarebbero poi così tanto rare per distribuzione sulla superficie terrestre, ma hanno una tale bassa concentrazione dei loro depositi da rendere i costi minerari talmente alti da essere sostenuti economicamente solo se i costi del lavoro siano estremamente bassi come nel caso della Cina. La raffinazione, poi, comporta un alto tasso di inquinamento, tema rispetto al quale la Cina non brilla per sensibilità.
Un problema di sicurezza nazionale
A preoccupare praticamente tutte le economie sono i rischi per la sicurezza nazionale connessi a questa dipendenza. Cosa succederebbe se Pechino dovesse un giorno sospendere le esportazioni? Ogni volta che Pechino si trova in controversie politiche ed economiche o quando vuole rafforzare la sua posizione negoziale attorno ai tavoli diplomatici minaccia ostilità nelle politiche commerciali riguardanti le terre rare. È uno strumento geopolitico per ottenere cambiamenti comportamentali nei paesi in cui la Cina si scontra, come chiaramente enunciato nella primavera del 1992 da Deng Xiaoping. Poco prima del suo ritiro dalla scena politica pronunciò, con un sorrisetto di soddisfazione, la massima premonitrice: “Il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare”.
Le possibili strategie alternative
Lo ripetiamo, le terre rare sono indispensabili soprattutto alla produzione di turbine eoliche, veicoli elettrici e celle a combustibile. L’Unione Europea, che vuole azzerare le proprie emissioni entro il 2050, stima che per quella data la sua domanda di terre rare potrebbe aumentare di dieci volte, anche a causa dello spostamento delle preferenze dei consumatori verso prodotti ad alto contenuto tecnologico e zero impatto ambientale. Attualmente il fabbisogno europeo viene soddisfatto per il 98% dalla Cina. Per uscire da questo ricatto, tre sono i percorsi che sembrerebbero strategicamente percorribili: 1) l’estrazione e la raffinazione delle terre rare entro i confini nazionali, 2) la riduzione dell’uso delle terre rare o la loro sostituzione,3) la creazione di un efficiente sistema per il riciclaggio dei rifiuti utili, in particolare apparecchiature elettroniche come batterie, magneti permanenti e lampade fluorescenti.La terza via, forse quella più percorribile da noi, è però possibile solo se il sistema di riciclaggio viene costruito su larga scala con dimensioni sovranazionali come quelle dell’Unione Europea. Devono essere presi in considerazione i benefici ottenuti nell’intero ecosistema, mitigando così l’impatto ecologico dello sfruttamen