sabato, 28 Giugno, 2025
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Obesità in Italia: allarme AME, colpita una donna su dieci e i numeri continuano a salire

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Nuovi farmaci contro l’obesità: una svolta per la salute in Italia

Albano Laziale (LaDiscussione) – Finalmente disponibili in Italia, i nuovi farmaci agonisti del recettore GLP-1 (GLP-1RA) e i dual agonist (GLP1 + GIP) stanno rivoluzionando il trattamento del diabete di tipo 2 e dell’obesità. Questi farmaci mimano gli ormoni naturali prodotti dall’intestino, stimolando il rilascio di insulina e migliorando il controllo della glicemia. La loro efficacia e sicurezza nel contrastare l’obesità saranno al centro del “3° AME Obesity Update: trattamento dell’obesità e delle sue complicanze”, in programma il 28-29 giugno a Albano Laziale (Roma), organizzato dall’Associazione Medici Endocrinologi (AME).

L’aumento dell’obesità in Italia
Negli ultimi vent’anni, l’obesità è cresciuta del 38%, interessando circa 6 milioni di italiani. I dati Istat rivelano un aumento preoccupante tra i giovani adulti (18-34 anni), con percentuali passate dal 2,6% al 6,6%, e un impatto maggiore sulle donne, dove l’incidenza è triplicata (oggi il 10% della popolazione femminile è obesa). Anche nelle fasce 35-44 anni e over 74 si registrano incrementi significativi, rispettivamente dal 6,4% al 9,8% e dall’11% al 13,8%.

Donne e obesità: un peso sociale e sanitario
Le donne pagano un prezzo più alto, non solo in termini di salute ma anche di stigma sociale. Modelli estetici irrealistici e pregiudizi culturali le espongono a maggiore colpevolizzazione, mentre negli uomini il sovrappeso è spesso erroneamente associato a benessere. L’obesità femminile comporta inoltre rischi rilevanti per la fertilità e la gravidanza, tra cui difficoltà di concepimento, aborto spontaneo, parto pretermine, diabete gestazionale e complicanze neonatali.

I nuovi farmaci: una speranza concreta
“I nuovi farmaci rappresentano una svolta terapeutica”, afferma Andrea Frasoldati, Presidente AME. “Agiscono modificando la storia naturale della malattia, integrandosi con altre strategie come la dieta, la psicoterapia e, quando necessario, la chirurgia bariatrica”. Silvia Irina Briganti, esperta AME, aggiunge: “Gli analoghi del GLP1 possono essere utili anche per ridurre il peso in vista di una gravidanza, sebbene gli studi specifici siano ancora limitati”.

L’arrivo di queste terapie segna un passo avanti cruciale nella lotta all’obesità, offrendo nuove opportunità per migliorare la qualità della vita di milioni di persone.

popolazione e per la recente introduzione in Italia, pertanto le ridotte evidenze, soprattutto in termini di sicurezza, spingono ad un uso cautelativo. La somministrazione di GLP1 e dual agonist richiede, ad esempio, l’”obbligo” di sospensione di semaglutide e tirzepatide nei due mesi che precedono il concepimento o in caso della liraglutide, oggi in dismissione, di un paio di settimane. A tale proposito le donne vanno correttamente informate per evitare che incorrano in rischi soprattutto di malformazioni fetali, così come della necessità di seguire un percorso terapeutico ben definito, multidisciplinare e che coinvolga più figure professionali, in primo luogo l’endocrinologo e il ginecologo, lungo tutta la gravidanza. Quindi le donne devono essere parte attiva di un attento programma, oltre che terapeutico, anche di counselling e educazionale”.Spesso nella gestione dell’obesità si trascura la possibile implicazione con un disturbo compulsivo, una fame emotiva, che spinge la persona a ricercare il cibo come atto compensatorio-consolatorio o come valvola antistress e un sedativo dell’ansia.“Se l’aspetto emotivo non è conosciuto o non viene riconosciuto – precisa Simonetta Marucci, Coordinatrice Commissione Rapporti Slow Medicine di AME – si rischia di fallire nell’approccio al paziente, anche nel caso in cui si impeghi il farmaco, il quale è un supporto allo stile di vita non il sostituto. La fame emotiva caratterizza 1 obeso su 3 (35%) con disturbo alimentare compulsivo, cui si aggiunge una fascia grigia con manifestazioni sottosoglia, che possono preludere alla manifestazione di una patologia conclamata. Recenti studi sembrano dimostrare l’efficacia degli agonisti GLP1 anche nel trattamento di forme obesità in cui prevale l’aspetto compulsivo, ad esempio nel Binge Eating Disorder (BED, Disturbo da Alimentazione Incontrollata), grazie al meccanismo di azione a livello centrale che va a impattare sui centri che regolano fame, sazietà, piacere e mangiare edonico legato più a gratificazione che alla nutrizione. Oggi obiettivo della ricerca clinica è confermare l’efficacia di farmaci GLP1 anche a lungo termine e l’aderenza terapeutica stante che l’abbandono della terapia, come noto, porta a un effetto rebound del peso. Attualmente queste terapie sono legate ad almeno due criticità: la prescrivibilità, consentita solo a pazienti diabetici, l’elevato costo, non sostenibile per tutti i pazienti e comunque non in continuità, rendendo di fatto il farmaco “selettivo”. Quindi anche le forme di obesità da disturbo compulsivo richiedono un approccio multidisciplinare che preveda il confronto fra medico internista, endocrinologo, nutrizionista/dietista con una azione di counselling educativi sul paziente, in sinergia con percorso piscologico/psichiatrico di almeno due anni seguito da un periodo di follow-up dilazionato nel tempo all’interno di servizi dedicati, pubblici, ambulatoriali residenziali per i casi più gravi, ricordando che i disturbi alimentarsi sono classificati nel DSM V come malattie mentali ma si caratterizzano anche per una gravità a livello fisico, endocrinologico, cardiologico, e non solo, con un impatto sulla salute mentale”.Sono diminuiti nel corso del tempo pregiudizi di tipo culturale, sociale, etico, religioso, sessuale. Non verso l’obesità ritenuti in cresciti a livello mondiale, similmente ai numeri della patologia, con un discrimine maggiore, come detto, per le donne.“Assistiamo, nei confronti dei pazienti con obesità, a pregiudizi e stigmatizzazione esternalizzata – afferma Anna Nelva, Coordinatrice Commissione Lipidologia e Metabolismo di AME – che si ripercuotono ad esempio sul mondo del lavoro portando a stimare che la persona con patologia sia priva di disciplina e di organizzazione, con effetti penalizzanti in termini di assunzione ma anche di avanzamento di carriera o a pregiudizi in ambito sociale, famigliare, in contesti scolastici con atti di bullismo fino a ripercussioni in contesti assistenziali in cui un paziente con obesità potrebbe ricevere follow-up meno ravvicinati rispetto a persone normopeso. Dall’altro l’internalizzazione dei pregiudizi induce la persona con obesità ad accettare stereotipi negativi che ne minano l’autostima e innescano stati d’ansia e depressione, a loro volta causa di alterazioni dell’alimentazione che peggiorano l’obesità stessa, oltre che di maggiore difficoltà a accedere alle cure appropriate. Società, personale sanitario, educatori, Società Scientifiche, Istituzioni devono unire gli sforzi per contrastare pregiudizi e stigma che fanno ritenere l’obesità una conseguenza di scelte e comportamenti individuali determinati dal libero arbitrio, non da condizione patologica quale è l’obesità. Bisognerà lavorare anche per rimuovere i pregiudizi che spesso circondano chi si avvale di terapia farmacologica o della chirurgia bariatrica, come se avesse scelto ‘la via più facilè invece di affrontare il problema con volontà e autocontrollo. La disponibilità di questi nuovi farmaci così efficaci nel contrastare l’obesità è diventata anche un’occasione per una riflessione fra i clinici sugli effetti causali rilevanti di caratteristiche genetiche e pressioni di un ambiente obesogeno, oltre a far accrescere la consapevolezza su questa condizione. Per permettere al paziente con obesità di avere il massimo beneficio dalle attuali possibilità di cura, comunque, sarà necessaria una forte azione di supporto sociale e sanitario, oltre che un aiuto per superare i pregiudizi internalizzati riguardanti il pesò.“Occorre un cambio di visione anche istituzionale per la cura del paziente obeso, altamente complesso – conclude Marco Chianelli, Coordinatore Commissione Obesità AME e responsabile scientifico del Congresso -. A livello governativo va posta una maggiore partecipazione attraverso l’inclusione dell’obesità in percorsi diagnostici terapeutici e con processi che possano riguardare ambienti importanti come la scuola, dove la cultura della corretta alimentazione e dell’attività fisica devono essere promosse sin dall’infanzia o negli ambienti di lavoro. A livello di sistema sanitario nazionale invece, non soltanto pubblico ma anche quello privato, il ruolo maggiore si gioca sulla gestione di oltre sei milioni di pazienti obesi, una vera pandemia, indagando con cura le diverse componenti che concorrono al sovrappeso e obesità: genetiche, ambientali, psicoemotive. Solo un approccio sistemico e collaborativo, con la partecipazione attiva di tutti gli attori impegnati nella gestione di obesità e il sovrappeso contente e consentirà di affrontare la sfida globale contro questa “pandemia”. –

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