Un gesto semplice, silenzioso e potente. Intorno alle 11.30 ieri Papa Francesco è apparso a sorpresa sul sagrato di piazza San Pietro, al termine della Santa Messa per il Giubileo degli Ammalati e del mondo della Sanità, accolto dagli applausi e dalla commozione dei fedeli. Pochi istanti, il tempo di un “Buona domenica a tutti, grazie tante”, ma quanto basta per suggellare un messaggio tanto intimo quanto universale: la sofferenza condivisa non è mai inutile, ma luogo di grazia e umanità. È la prima apparizione pubblica del Pontefice dopo la degenza al Policlinico Gemelli, da cui è rientrato pochi giorni fa. Visibilmente affaticato, ma sorridente, Bergoglio ha voluto così testimoniare con la sua stessa presenza ciò che aveva già affidato alle parole della sua omelia, letta per lui da Monsignor Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione: nella fragilità si può scorgere il seme di un mondo nuovo, dove l’amore diventa più forte del dolore.
“Ecco, io faccio una cosa nuova”
L’omelia si è aperta con un’immagine profetica: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”. Un versetto che il Papa ha scelto come chiave di lettura della malattia e della sofferenza, intese non come fine, ma come terreno dove Dio può seminare speranza, comunità, e una fede più profonda. Il riferimento è al popolo d’Israele in esilio, smarrito e disorientato, come lo sono oggi molti malati. “L’orizzonte appare chiuso – ha scritto il Vescovo di Roma – il futuro oscuro. Ma è proprio lì che Dio chiede di vedere il nuovo che sta già germogliando”. Un messaggio che si fa ancora più toccante quando il Papa ha confessato: “In questo momento della mia vita condivido molto con voi: l’esperienza dell’infermità, del sentirsi deboli, del dipendere dagli altri. È una scuola dove impariamo ad amare e a lasciarci amare”.
Il letto del malato come “luogo santo”
L’omelia è proseguita toccando le corde più intime della relazione tra sofferenza e spiritualità. “Il letto del malato – ha detto Francesco – può diventare un luogo santo di salvezza e di redenzione, dove medici, familiari e pazienti si incontrano nella verità profonda dell’esistenza, lasciando cadere le maschere dell’efficienza e del successo”. Un messaggio rivolto non solo a chi soffre, ma anche a chi cura. Ai medici, infermieri e operatori sanitari, il Papa ha chiesto di non vedere solo corpi da curare, ma persone da accompagnare, lasciando che anche la fragilità dei pazienti “entri come un dono nella vostra esistenza, per guarire anche il vostro cuore”.
Nel Giubileo degli ammalati, Francesco ha alzato la voce anche contro la cultura dello scarto, quella che emargina chi non è più “utile”, chi pesa, chi rallenta. “Non releghiamo chi è fragile lontano dalla nostra vita, come purtroppo oggi fa una certa mentalità – ha ammonito il Papa –. Non ostracizziamo il dolore dai nostri ambienti. Facciamone invece un’occasione per crescere insieme, per coltivare la speranza grazie all’amore”.
Sono parole che risuonano forti in un tempo in cui le disuguaglianze sanitarie e sociali si allargano, e in cui milioni di malati nel mondo restano senza cure e senza voce. Il Papa parla con il cuore di chi ha appena vissuto in prima persona l’esperienza del ricovero, e lo fa con una forza che nasce non dalla retorica, ma dall’umile condivisione.
Benedetto XVI e la lezione sulla sofferenza
Non è mancato un riferimento alla figura del Papa emerito Benedetto XVI, “che ci ha dato una bellissima testimonianza di serenità nel tempo della sua malattia”. Francesco ha citato le parole tratte dall’enciclica Spe salvi: “La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti è una società crudele e disumana”. In questo senso, il Giubileo degli ammalati si trasforma in un appello profondo alla società intera: una civiltà si giudica da come tratta i suoi più deboli. E la Chiesa, ha concluso il Pontefice, non può che stare accanto a chi soffre, non solo con i sacramenti, ma anche con la presenza, il servizio, l’ascolto.
La celebrazione ha visto la partecipazione di migliaia di pellegrini e malati giunti da tutto il mondo, accompagnati da medici, volontari, cappellani ospedalieri e associazioni del settore sanitario. Molti in carrozzina, altri visibilmente provati nel corpo, ma tutti uniti da un senso profondo di fraternità e di speranza. La piazza, baciata dal sole di primavera, ha accolto anche delegazioni di operatori sanitari che nei mesi scorsi hanno lavorato nei teatri più critici delle emergenze umanitarie.
L’annuncio della speranza
Il Giubileo degli ammalati è stato uno dei momenti chiave nel cammino verso l’Anno Santo 2025, e assume un significato ancora più forte proprio per la presenza del Papa, tornato tra la gente dopo giorni di silenzio e fragilità. “Dio non ci lascia soli – ha proseguito Francesco – e dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza”.