domenica, 13 Ottobre, 2024
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Jenůfa: grande emozione per il capolavoro di  Leoš Janáček all’Opera di Roma. Magistrale la  direzione di Juraj Valcuha, ottima la regia di Claus Guth

Una ricerca musicale nata dallo studio ossessivo del linguaggio parlato: così Leoš Janáček, nei primissimi anni del ‘900, terminò un’opera che avrebbe segnato un’epoca e influenzato tutte le successive, dando vita ad un realismo inedito, in cui la verità si faceva signora indiscussa della scena. “la verità, in primo luogo la verità, non la bellezza. Ma che la verità si faccia tranquillamente accompagnare dalla bellezza”. Compositore quasi sconosciuto, Janáček, che terminerà l’opera nel 1903, dovette affrontare drammi familiari, grandi dolori, quali la perdita della figlia, e una lunga ostilità del direttore d’orchestra del Teatro Nazionale di Praga, Karel Kovarovic, che si fece attendere 12 anni prima di accogliere l’opera. Sarà un critico e scrittore invece ad aprire al compositore la strada dei teatri tedeschi e del mondo intero: Max Brod, che definirà l’opera “essenziale”. Parliamo di un’opera messa in scena più di settanta volte durante la vita del suo autore e quasi ottocento volte ad oggi, un’opera in cui orrore, miseria, solitudini si lavano via via attraverso un patimento che si fa redenzione proprio nelle ultime parole dell’ultimo atto. Eccellente l’orchestrazione di Juraj Valčuha, acclamato dal pubblico in sala, di spiccato simbolismo l’impianto registico che sa scuotere e toccare, per un’opera che travalica i muri del secolo e ha tutto ancora da dire sulla natura umana.
Sullo sfondo di una chiusa comunità rurale, due donne lottano per realizzarsi, per sopravvivere allo schiacciante peso degli obblighi sociali e alla violenza che le circonda. Nella messa in scena del pluripremiato regista Claus Guth, il capolavoro del realismo slavo Jenůfa di Leoš Janáček è arrivato al Costanzi, in scena dal 2 al 9 maggio, in un nuovo allestimento realizzato in coproduzione con la Royal Opera House di Londra, dove ha debuttato nel 2021 ottenendo l’Olivier Award come miglior produzione operistica. L’opera è il terzo tassello del progetto triennale dell’Opera di Roma dedicato a Janáček, inaugurato con Káťa Kabanová nella stagione 2021/2022 e proseguito con Da una casa di morti lo scorso anno. Sul podio è chiamato Juraj Valčuha, tra i massimi interpreti della musica del compositore ceco, che debutta al Costanzi e che ha diretto, con l’Opera di Roma, la Turandot firmata Denis Krief a Caracalla nel 2015. Cornelia Beskow e Karita Mattila sono rispettivamente Jenůfa e Kostelnička. Robert Watson è Števa, mentre Charles Workman canta Laca. Nella parte della vecchia Buryjovka è impegnata Manuela Custer. Le scene sono di Michael Levine, i costumi di Gesine Völlm, le luci di James Farncombe e i video di rocafilm/Roland Horvath. Drammaturgia di Yvonne Gebauer. In scena anche il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma interprete della coreografia di Teresa Rotemberg.
Capolavoro del realismo musicale di primo Novecento, Jenůfa è l’opera teatrale più nota del compositore ceco Leoš Janáček. Scritta tra il 1894 e il 1903, è tratta dal dramma naturalista di Gabriela Preissová Její pastorkyňa [La sua figliastra]. Lo stile musicale di Jenůfa è il risultato dello studio che per tutta la sua vita Janáček dedicò alle inflessioni della lingua parlata cèca. La trama ruota attorno a Jenůfa, figlia adottiva di Kostelnička, sagrestana della chiesa di un paesino della Slovacchia morava. Rimasta incinta dell’amante Števa, viene sfregiata da Laca, innamorato di lei e geloso della sua relazione. Costretta a nascondersi in casa di Kostelnička per la vergogna della maternità illegittima e rifiutata da Števa per la ferita che ora porta sul volto, viene poi ingiustamente accusata di infanticidio dopo che Kostelnička, a sua insaputa, uccide il bambino per paura che questo possa impedirle di sposarsi con Laca, ancora innamorato di lei e pentito. Alla scoperta del cadavere, la matrigna confessa il crimine, ma Jenůfa la perdona, accettando le nozze con Laca.
Claus Guth abbandona l’estetica realista in favore di un allestimento simbolico. Altissime mura di legno delimitano la scena, isolando i personaggi e definendo la società rurale come un claustrofobico e immobile microcosmo. Al di fuori, quello che Guth definisce come «l’Altro sconosciuto», un luogo impossibile da raggiungere per le protagoniste del dramma. Jenůfa è una vicenda in cui si intrecciano onore, amore e violenza, e in cui i destini di una giovane e della sua matrigna sono destinati a ripetersi, come in una maledizione.
«Jenůfa è la storia di una donna che lotta per un mondo più libero – dice il regista – Una realtà che non presenta vie d’uscita. In scena non ci sono porte, non ci sono aperture. Costante, nell’opera, è il rumore della ruota del mulino, un ritmo ripetitivo, che non cambia mai. La società è questa macchina rituale che ripete i suoi movimenti all’infinito e che distrugge tutto ciò che incontra. L’opera mostra come un’enorme pressione sociale verso il conformismo possa portare alla completa caduta di un outsider, di qualcuno che sta fuori dalla norma». Tra i registi più stimati e richiesti a livello internazionale, Claus Guth è rinomato per la sua capacità di reinvenzione del repertorio operistico e per la costruzione di messe in scena visivamente impattanti, riflesso e indagine della psicologia dei personaggi. Insignito due volte del premio Faust, nel 2023 ha ricevuto un OPER! Award come miglior regista.
Il ruolo di Jenůfa vede impegnata Cornelia Beskow, soprano svedese apprezzata soprattutto per la profondità drammatica delle sue interpretazioni. Vincitrice del concorso internazionale di canto Lauritz Melchior nel 2017, inizia la sua carriera internazionale nel ruolo di Elsa nel Lohengrin alla Wiener Staatsoper, per poi distinguersi come Jenůfa, nel 2022, in una nuova produzione del regista Keith Warner alla Norwegian Opera. Accanto a lei, nel ruolo della sagrestana Kostelnička, la grande Karita Mattila, riconosciuta interprete della Jenůfa di Janáček, sia come protagonista – la sua interpretazione alla Royal Opera House nel 2001 ha vinto un Grammy Award per la Best Opera Recording nel 2004 – sia nella parte della matrigna. Beskow e Mattila sono al loro debutto al Costanzi.
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