giovedì, 2 Maggio, 2024
Società

Don Merola: “Un eroe? No, sono solo un sacerdote che fa il sacerdote”

Qualche giorno fa, nel quartiere dell’Arenaccia a Napoli, i ladri hanno depredato il famoso “forno della legalità” della Fondazione “A’ Voce d’’e creature” di don Luigi Merola, un laboratorio di arti bianche dove i ragazzi stavano imparando l’arte della pizza grazie agli insegnamenti del maestro pizzaiolo Vincenzo Staiano, il “pizzaiolo del Papa”. Un laboratorio dove veniva insegnato un mestiere ai ragazzi sottratti alla strada o con i genitori in carcere. Un gesto deprecabile che rischia di interrompere l’opera di recupero di centinaia di ragazzi altrimenti destinati a non avere un futuro. Ne abbiamo parlato proprio con don Luigi Merola.

Nella storica “Villa di Bambù” del boss Raffaele Brancaccio, ragioniere del clan Contini, sequestrata e confiscata, nel 2007 lei, nonostante le minacce di morte della camorra, comincia la sua avventura con i bambini in difficoltà di Napoli e dà vita alla Fondazione “A’ Voce d’’e creature”. Dopo 18 anni cosa significa essere ancora un “prete di frontiera”, sempre sotto scorta?
Essere sacerdote significa essere pescatori di uomini, in qualsiasi parte lo si faccia, nei quartieri buoni di Napoli come in quelli periferici, oppure allo Zen di Palermo. Ecco, io sono solo un pescatore d’uomini, come ha detto Gesù agli Apostoli. Tutti i sacerdoti devono essere “di frontiera”, non esiste il prete della Sacrestia, il prete che apre l’ufficio un’ora al mattino, un’ora al pomeriggio, se leggiamo il Vangelo. Gli Apostoli erano pescatori di uomini, camminavano, entravano nella sinagoga solo il sabato, perché il culto era solo il sabato, come noi dovremmo celebrare il culto solo la domenica. Gli altri giorni dobbiamo andare negli ospizi, nelle scuole, nei luoghi di forte marginalità sociale. Questo deve fare il sacerdote, deve andare a pescare. L’idea della vita dell’ecclesiastico che a accoglie i cristiani in chiesa è finita, io non mi sento né santo né eroe ma solo uno che ha letto il Vangelo.

Ma dopo tutti questi anni in prima fila quali sono i suoi sentimenti, come vive questa sua chiamata presa così alla lettera?
La vivo con tanta gioia e serenità, basti vedere come la racconto, però a volte anche con tanta sofferenza, perché negli anni non sempre sono stato capito e aiutato, dalla la chiesa e dall’opinione pubblica. Poi però guardo quello che Gesù sulla croce ha fatto. Bisogna andare sempre avanti.

E con questo Papa come va?
Con lui c’è una forte comunione, assolutamente. Però a volte, lo ripeto, ho vissuto nella solitudine. Emarginato all’interno della mia diocesi di Napoli. Fortunatamente ora anche il Vescovo di Napoli mi è stato vicino dopo il furto, dove hanno portato via tutto, persino le pale della pizza.

Secondo lei è stata una ritorsione o una necessità?
Non credo sia stato per bisogno, perché io sempre disponibile con chiunque bussi alla mia porta, anche per pagare le bollette. Sono più propenso a pensare a un dispetto, ma so che la polizia scientifica sta facendo una bella indagine, dunque prima o poi scopriranno chi è stato.

La Fondazione quanti ragazzi ospita e quanti poi si reinseriscono nel tessuto sociale?
Parliamo di circa 200 ragazzi l’anno e circa il 90% si salva. Il problema è che noi operiamo in campo educativo, dove si vince e si perde. Nello zaino l’educatore deve mettere la vittoria, la soddisfazione di avercela fatta, ma a volte deve anche mettere in conto di perdere. È capitato per esempio in questi anni che un ragazzo si sia fatto riarrestare di nuovo. Una volta uscito lo abbiamo riaccolto e poi l’hanno arrestato un’altra volta. Questo è stato uno dei miei più grandi dolori, ma ci sono anche tante storie positive. Luca è diventato medico, il primo nella sua famiglia. Un altro, che ha perso il papà ed è rimasto solo con la mamma, è cresciuto e adesso è all’ultimo anno di agraria che è a numero chiuso. Un altro ancora fa lo chef in uno degli alberghi più famosi a Napoli. Altri hanno accettato di trasferirsi al Nord e lavorano della cooperativa DLM, acronimo proprio di Don Luigi Merola, che adesso è anche diventata una S.p.A.

Ma da dove vengono i ragazzi vostri ospiti?
Sono giovani che rischiano di entrare nel circuito della criminalità. Innanzitutto vengono dalla dispersione scolastica, coloro che non vanno più a scuola. Ce li segnalano i presidi oppure gli assistenti sociali. Dunque noi facciamo un lavoro di vera prevenzione. Dove non arriva lo Stato arriviamo noi, perché poi quando arriva lo Stato è sempre tardi. Per esempio, uno dei requisiti per poter avere il reddito di cittadinanza era l’obbligo di mandare i figli in centri educativi come il nostro per contrastare la povertà educativa. Ora cadendo il reddito di cittadinanza non so se cadrà anche questo obbligo.

Tutto questo avrà sicuramente grandi costi e ora non ha neanche più il forno. Chi l’aiuta?
La Fondazione ha bisogno di 300.000 euro all’anno. Negli anni ho avuto questi soldi dal 5 per mille, però il nostro codice fiscale, 95097936131, lo dobbiamo pubblicizzare un po’ di più. E poi dai privati. Soltanto nell’ultimo anno c’è stata la Regione Campania che ha creato un capitolo di spesa di 50.000 euro per la Fondazione. Per 15 anni siamo andati avanti da soli. L’imprenditore Della Valle ci ha aiutati e l’imprenditore Angelo Salenti di Milano. E poi Sensi che ha messo su la cooperativa DLM.

Tutti imprenditori del Nord. Del Sud sono pochissimi, c’è solo Giovanni Lombardi che possiede le cliniche che portano il sangue per la dialisi.

Come mai solo imprenditori del Nord?
Perché sicuramente hanno più disponibilità e perché non chiedono visibilità, un ritorno di immagine a differenza degli imprenditori locali.

E lo Stato?
Il 27 ottobre scorso è venuto il ministro Matteo Piantedosi a visitare la Fondazione e mi ha promesso che nel 2024 troveranno un fondo per noi quasi a copertura totale dei costi. Ha visto quanto spendiamo anche solo di corrente elettrica per l’illuminazione, perché i miei ragazzi non devono mai stare al buio. Come dico sempre, devono essere i ragazzi della luce.

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Redazione

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