sabato, 27 Aprile, 2024
Cultura

“Tutti muti come pesci”. Con VajontS 23 per non dimenticare la tragedia di 60 anni fa

Muti come pesci, con la loro assenza ci parlano, i morti. C’è un silenzio plumbeo nella valle del Piave. Scendendo giù ai piedi del monte Toc, se si trattiene il respiro, sembra di sentire le voci della vita serale delle prime sere d’autunno, spezzate dal boato mortale di circa 270 milioni di metri cubi di roccia, che scivolarono nel bacino artificiale sottostante, creato dalla diga del Vajont, provocando un’onda di piena tricuspide che superò di 250 metri in altezza il coronamento della diga, spazzando via i paesi di Erto e Casso e Longarone. Morirono 1917 persone, un quarto di loro aveva meno di 18 anni, il più giovane aveva 21 giorni. La volontà era quella di realizzare un’opera monumentale, la più grande diga mai realizzata, la miniera inesauribile di energia, invece si produsse solo l’infinito pianto delle vittime e dei loro cari.

“Dove abito io sono tutti muti come pesci, andiamo a letto la sera senza fare rumore; al mattino ci svegliamo prima dell’alba, senza fare rumore…camminiamo per i boschi, ogni tanto ci fermiamo a grattare con le dita sul terreno, senza fare rumore. Ci sporchiamo il viso con la terra, ci copriamo gli occhi impastando la terra con la saliva, senza fare rumore. Dove abito io siamo tutti muti come pesci. Ogni volta che avrei voglia di ridere, gridare, battere i piedi, i più saggi mi fanno segno di silenzio. Quando ho domandato perché mi hanno risposto che dobbiamo continuare a nasconderci bene. Perché non smettano di cercarci. Finché non smetti di cercare non smetti di imparare”. Con queste parole, parte del monologo “Tutti muti come pesci”, ho voluto dare idealmente voce alla più piccola vittima di una tragedia ancora più inconsolabile, perché evitabile.

La Fabbrica del Mondo ha realizzato VajontS 23, azione corale di teatro civile a cui prendono parte più di 130 teatri in tutta la penisola, curata da Marco Paolini con la collaborazione di Marco Martinelli, per ricordare, tutti insieme, la tragedia del Vajont.

Un progetto di Marco Paolini per La Fabbrica del Mondo, realizzato da Jolefilm in collaborazione con Fondazione Vajont che questa sera farà sollevare contemporaneamente, in oltre 130 teatri, una grande orazione dolente, per non dimenticare le vittime che il 9 ottobre 1963, alle 22:39, trovarono la morte sotto una terribile ondata d’acqua generata dal delirio di onnipotenza dell’uomo. A Roma al Teatro Brancaccio in via Merulana 244 trenta artisti di diverse generazioni, accompagnati da due musicisti, si alterneranno nella lettura di VajontS 23. In scena ci saranno: Laura Adriani, Valerio Aprea, Marianna Aprile, Antonio Bannò, Luca Barbarossa, Mia Benedetta, Barbora Bobulova, Paolo Calabresi, Francesco Colella, Ileana D’Ambra, Massimo De Lorenzo, Carlo De Ruggieri, Massimo Di Lorenzo (chitarra), Giovanna Famulari (violoncello), Martina Ferragamo, Isabella Ferrari, Anna Ferzetti, Marta Gastini, Sara Lazzaro, Neri Marcorè, Antonio Muro, Filippo Nigro, Edoardo Purgatori, Elena Radonicich, Vanessa Roghi, Fabrizia Sacchi, Vanessa Scalera, Pietro Sermonti, Alessandro Tiberi, Thomas Trabacchi, Giulia Vecchio e Luca Zingaretti.

Il Piccolo Teatro Strehler si unisce al Comitato promotore La Fabbrica del Mondo e ad altre istituzioni culturali e civili del paese per un grande ricordo collettivo in forma di racconto, per evocare il passato guardando al futuro, riflettendo su temi cruciali quali il dissesto idrogeologico, l’acqua come bene comune e il cambiamento climatico, le cui ferite la stessa Milano e la Lombardia hanno recentemente sperimentato sulla propria pelle. L’adattamento, curato dallo stesso Paolini insieme al drammaturgo e regista Marco Martinelli, appositamente pensato per questa inedita costruzione collettiva e declinato per il Piccolo da Michele Dell’Utri, si snoda in una sorta di lettura a staffetta. In scena, al fianco di Marco Paolini, il Sindaco di Milano Giuseppe Sala, l’Assessore alla Cultura di Regione Lombardia Francesca Caruso, il nostro Direttore Claudio Longhi, insieme ad altri 20 narratori e a un coro di 200 persone, espressione e voce della società civile, del mondo della cultura e dell’impegno ambientalista. Ad armonizzarle, nel ruolo di corifei, le attrici Diana Manea e Giulia Trivero, e l’attore Daniele Cavone Felicioni.

Alle spalle del coro, una parete di cemento, altissima, si riempie di nomi, date, fatti – con le video-proiezioni di Riccardo Frati – per fissare momenti e dettagli della storia del Vajont, disegnando le trasformazioni della natura, anche pionieristiche, a opera dell’uomo e i presagi di equilibri violati. Inoltre, nei foyer del Teatro Strehler, da lunedì 9 ottobre (ore 18.30) è allestita la mostra fotografica Vajont, per non dimenticare, a cura della Pro Loco Longarone, organizzata dalla Famiglia Milanese Associazione Bellunesi nel Mondo. Un excursus storico che racconta, attraverso immagini d’epoca, la Longarone agli inizi del ‘900, la progettazione, costruzione, realizzazione della Diga del Vajont, il disastro del 9 ottobre 1963, le opere di soccorso, la ricostruzione urbanistica, la fase processuale e la ricostruzione della cittadina attuale. La mostra è visitabile, a ingresso libero, in occasione degli spettacoli, fino al 16 ottobre, giornata nella quale Marco Paolini riporta in scena, per una sola eccezionale serata, lo storico “Il racconto del Vajont.” In cui sono raccontati, come meticolosa ricostruzione, i fatti che hanno portato al disastro, come ricorda Francesco Niccolini:
“Il 9 ottobre ’63, l’ingegner Biadene decide di chiudere un telegramma all’ingegner Pancini, suo capocantiere in vacanza, con una invocazione celeste: “Che Iddio ce la mandi buona”.

Il salto dall’onnipotenza degli ingegneri alla resa mistica è tardivo: alle 22 e 39 del 9 ottobre, la frana si stacca. 260 milioni di metri cubi di roccia, generando un’onda incredibilmente più alta di quella prevista dall’ingegner idraulico Augusto Ghetti. Parte dell’onda sorpassa Casso quasi senza provocar danni in paese, mentre il resto dell’acqua si divide in due onde: metà va verso Erto e soprattutto verso le sue frazioni che vengono spazzate via. L’altra metà dell’onda supera la diga e precipita a valle, investendo Longarone e le sue frazioni.

È una strage con pochi feriti E moltissimi morti: 1917. Lo spostamento d’aria (simile a quello provocato dalla bomba atomica di Hiroshima) e la violenza dell’acqua distruggono completamente tutto ciò che incontrano. Una sola cosa non subito danni: la diga, che a parte qualche sbecconcellatura sul coronamento, ha retto perfettamente”.

La rete di VajontS 23 è stata intrecciata da Marco Paolini, Michela Signori, Francesco Bonsembiante, Lorenza Poletto, Marco Gnaccolini, Silvia Colle, Silvia Giralucci, Davor Marinkovic, Carlotta Agostinello, Massimiliano Canazza, Rossella Palmerini, Chiara Rigoni con la collaborazione di Paolo Verri, Felice Cappa, Francesco Niccolini, Donato Nubile, Paolo Gubitta, Margherita Gallo, Marco Aime, Telmo Pievani, Simone Tempia, Maria Chiara Baldan, Gigi Muraro, Francesco Bolo Rossini, Stefano Scherini e di tutte le persone che vi stanno aderendo facendosene portavoce.

Fonte foto: https://www.jolefilm.com/

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