domenica, 5 Maggio, 2024
Salute

Trovato il gene che rende più forte e performante il cuore

Per chi lo ha debole, invece, va gestita meglio “l’aderenza terapeutica” 

C’è chi ha un gran cuore e chi no. A questo dato di fatto è stata trovata una possibile risposta: un ruolo chiave lo giocherebbe il gene BPIFB4, variante Lav (Longevity Associated Variant), noto come “gene della longevità”. Ci sarebbero prove della resistenza e capacità del cuore di alcuni tipi di persone a ritornare efficiente anche dopo un infarto grazie alla presenza di questo particolare gene. Lo sostiene uno studio pubblicato sulla rivista Cell Death and Disease, coordinato dal professor Annibale Puca del Gruppo MultiMedica di Milano e dal professor Paolo Madeddu dell’Università di Bristol.

LAV-BPIFB4

Secondo i ricercatori la proteina agisce direttamente sui cardiomiociti – le cellule che, con la loro attività contrattile, servono a far pulsare il cuore – rendendoli più performanti. In questo modo, l’organo funziona meglio e reagisce meglio anche a eventuali crisi e infarti. Dal lavoro, finanziato dal Ministero della Salute e dalla British Heart Foundation ha analizzato i campioni di plasma di 492 pazienti tra i 59 e i 76 anni, che avevano subìto un infarto, è emerso evidente l’effetto protettivo di LAV-BPIFB4 sul cuore. Monica Cattaneo, ricercatrice del Gruppo MultiMedica, primo autore della pubblicazione ha osservato che “la proteina, aggiunta alla coltura cellulare, conferisce al cardiomiocita una maggior forza di contrazione e ne aumenta la frequenza del battito. Questo vantaggio si associa a un’ulteriore azione positiva che LAV-BPIFB4 esercita sul fibroblasto, limitando la sua produzione di fibrosi, che rende il tessuto cardiaco più rigido.” “In virtù di tali benefici”, ha spiegato Cattaneo, “riteniamo che la proteina abbia un forte potenziale terapeutico, preservando l’equilibrio e lo stato di salute del cuore e opponendosi al dannoso rimodellamento cardiaco che contribuisce all’insorgenza delle patologie ischemiche.”

Fondazione Onda

Intanto per le malattie cardiovascolari è stato messo a punto, da parte della Fondazione Onda, un documento per migliorare prevenzione e “aderenza terapeutica”, risultato di un tavolo interregionale con clinici esperti e rappresentanti delle istituzioni delle regioni Campania, Lombardia e Veneto. Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nel mondo: in Italia, in particolare, sono responsabili di oltre 230 mila morti all’anno, pari al 35 per cento di tutti i decessi, e sono anche la prima causa di invalidità e ospedalizzazione nel nostro paese, con elevati costi socioeconomici che si attestano a circa 19-24 miliardi di euro. Secondo la Fondazione la mancata o scarsa aderenza terapeutica da parte dei pazienti compromette il successo terapeutico e rappresenta una delle principali cause di inefficienza dell’investimento pubblico. Francesca Merzagora, presidente di Fondazione Onda, ritiene che “per facilitare i pazienti cronici, la semplificazione terapeutica con terapie di combinazione a dosaggio fisso unitamente all’utilizzo della telemedicina, costituisce una valida strategia per promuovere l’aderenza”.

Malattia e aderenza terapeutica

La senatrice Elena Murelli, tra l’altro Presidente dell’intergruppo parlamentare per le malattie cardio, celebro e vascolari è intervenuta sul tema dicendo che “la mancata aderenza alle terapie farmacologiche ha un costo per lo Stato in termini di ospedalizzazioni evitabili. Cure d’emergenza e visite ambulatoriali, portando con sé importanti complicanze, nonché un peggioramento della qualità di vita dei pazienti e una maggiore prevalenza e recidiva della malattia. Diventa fondamentale inserire nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) un indicatore specifico che misuri in modo standardizzato l’aderenza terapeutica e le performance dei Sistemi sanitari nazionali”.

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