sabato, 27 Aprile, 2024
Politica

Pd: la rottamazione “dolce” di Elly? L’allargamento

Schlein ha qualcosa in comune con Renzi. Anche lei non è per niente contenta del partito che guida e vorrebbe rivoltarlo da cima a fondo. Matteo lo fece con la sua tipica irruenza, provocando la scissione di Bersani e Speranza, mettendo alla porta mostri sacri come D’Alema. Elly, che al partito non era neanche iscritta, vuole usare il guanto di velluto, creare una serie di innesti dall’esterno per cambiare la composizione tradizionale del Pd e ridurre il peso di alcune componenti tradizionalmente forti. C’è chi lo chiama movimentismo. In realtà è una strategia sottile e di lungo termine che ha fatto chiaramente capolino nella scelta dell’esterno Paolo Ciani come vicecapogruppo e nel discorso tenuto ieri al congresso di scioglimento di Articolo 1 che torna a casa.

Quando Schlein ripete che il Pd non può essere “autosufficiente” non vuol dire che vuole legarsi a filo doppio con altri partiti, come il M5S o con i Verdi-Sinistra di Bonelli e Fratoianni. Vuol dire che vuole aprire le porte del partito non per far uscire qualcuno ma per lasciar entrare altri.

Renzi intendeva la rottamazione come una rottura traumatica di vecchi equilibri -della serie chi ci sta ci sta, altrimenti se ne può pure andare via-.

Schlein sembra voler dire: avete voluto come segretario una esterna al partito e ora io mi rivolgo soprattutto a quelli che, delusi o costretti ad andar via, sono fuori dal Pd.

Non è una scelta semplice ma non si può dire che non sia audace.

Renzi aveva un’idea chiara di dove voleva portare il Pd: fuori dal massimalismo e verso un riformismo fatto di cose concrete e a tappe forzate. Non si contano le riforme che da Presidente del Consiglio voleva realizzare in pochi mesi tra cui una riscrittura di parti notevoli della Costituzione.

Schlein non ha maturato per ora una identità precisa per il Pd allargato né pare avere tanta fretta. Ragiona così: sono all’opposizione e ci resterò per altri 4 anni e quindi ho tempo per elaborare un vero programma da governo-ombra. Per ora si capisce solo che vuole aprire circoli nelle fabbriche, parlare di tematiche sociali e ambientali. Ma i contenuti precisi non si vedono. Anzi, Schlein rischia di essere costretta a confrontarsi con programmi proposti da altri partiti che le chiedono se ha voglia di condividerli.

È successo ieri sia con Conte che con Calenda. Il leader 5Stelle apprezza che il Pd voglia fare fronte comune sul salario minimo legale, cavallo di battaglia del Movimento. Tema su cui è d’accordo anche Calenda che invita Schlein a rilanciare la sua creatura, Impresa 4.0 estesa a energia e ambiente.

Allargare il Pd senza dargli prima un’identità forte e contenuti precisi rischia di aggiungere confusione all’inazione attuale. Giocare di rimessa sulle proposte di altri non renderà attrattivo il partito. E Schlein non ha 4 anni per vincere la sua sfida ma solo uno: a giugno prossimo, alle elezioni europee, si gioca il tutto per tutto. Difficile che possa prendere il 41%… come ironicamente ha detto Renzi. Ma se non supererà la soglia psicologica del 25%, per Schlein la strada sarà tutta in salita.

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