giovedì, 25 Aprile, 2024
Cultura

Ricordando Don Milani e i suoi insegnamenti di vita

È il 27 maggio 1923 quando a Firenze nasce Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti, semplicemente conosciuto “don Milani”, nelle vesti di presbitero, scrittore, docente e educatore.

Egli, in effetti, sposa ad ogni costo l’applicazione dei principi fondamentali sanciti dalla nostra Carta Costituzionale sui diritti inviolabili di libertà, solidarietà e della pari dignità sociale, nella sua attività pedagogica verso gli alunni di Barbiana, località identificabile con la chiesa e la canonica, ove è designato a svolgere la sua missione sacerdotale. Papa Francesco ha sapientemente delineato l’impegno educativo di don Milani affermando, tra l’altro, che: “La sua inquietudine, però, non era frutto di ribellione ma di amore e di
tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che talvolta veniva negata. La sua era un’inquietudine spirituale alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come “un ospedale da campo” per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati”.

Nella sua breve vita, 44 anni, i suoi scritti sono stati oggetto di aspre polemiche nel mondo religioso al quale apparteneva, ma anche nel mondo intellettuale e politico dell’epoca.

Inizia una sua prima battaglia di libertà a sostegno dell’obiezione di coscienza, contrario al servizio militare, la famosa leva obbligatoria, all’epoca solo per i maschi. Per tale motivo viene, addirittura, sottoposto a procedimento penale per “apologia di reato”, mentre alcuni parlano di “vilipendio alle Forze Armate”. Assolto in primo grado con la formula “Il fatto non costituisce reato”, si ritrova con un proposto appello che, però, non giunge a sentenza perché don Milani viene, improvvisamente, a mancare.

Nella veste sacerdotale non gli sono mancati ostacoli tra cui proprio sulla pubblicazione del suo libro “Esperienze Pastorali” per il quale un decreto del Sant’Uffizio nel 1958 gli proibisce la stampa e la diffusione, durata per 56 anni, fino al 2014 quando la ristampa non ha più proibizione da parte della Chiesa.

Secondogenito di tre figli, il fratello Adriano e la sorella Elena, aveva maturato una personalità poliedrica, dimostrando da adolescente, un carattere spiccatamente forte e determinato. Il papà era un chimico dedito alla gestione dei suoi poderi in Montespertoli (Firenze), con la passione per la letteratura; mentre la mamma, di origine ebrea, si era trasferita a Trieste per ragioni di lavoro. La casa erano immersa di libri, opere d’arte e reperti archeologici di famiglia perché il nonno paterno, Adriano Milani era archeologo e numismatico, mentre la di lui moglie, Laura Camporetti era figlia del filologo Domenico e della pedagogista, intellettuale e froebeliana russa Elena Raffalovich.

Da parte materna l’eredità culturale era davvero notevole, sia come allieva di James Joyce, cugina di Edoardo Weiss, nato a Trieste, psichiatra e psicanalista anch’egli di origine ebraica, superstite dell’Olocausto come rifugiato negli Stati Uniti, ove fu allievo di Sigmund Freud, dal quale ne consegue l’inevitabile indottrinamento anche sulla psicanalisi.

Già nel 1930, per il particolare contesto storico, la famiglia si trasferisce a Milano ove, i genitori, da agnostici, per l’ascesa del nazismo, decidono di contrarre matrimonio con rito cattolico e di battezzare i loro figli. Il giovane Lorenzo Milani lo denomina sempre il suo “battesimo fascista”, come riporta il libro “Don Milani in controluce” di Valentino Rubetti – Armando Editore, 2017. Nel 1943, anche a causa della guerra, la famiglia tutta fa ritorno a Firenze e proprio in quella circostanza si converte al Cattolicesimo e il 13 giugno dello stesso anno riceve il sacramento della cresima dal cardinale Elia Dalla Costa. La vera svolta avviene a seguito del colloquio avuto con don Raffaele Bensi, divenuto il suo padre spirituale.

Da giovane studente, non brillante negli studi, dopo il diploma non vuole iscriversi all’università  e nel 1941 frequenta scuole d’arte a Firenze e Milano e un corso di pittura presso l’Accademia di Brera a Milano, ove si avvicina all’arte sacra, come è descritto, dopo essere diventato sacerdote, nella biografia scritta da Neera Fallaci “Dalla parte dell’ultimo. Vita del prete Lorenzo Milani”.

Nell’anno successivo, infatti, improvvisamente, evidenzia un repentino cambiamento ad una sua compagna di corso di pittura, Tiziana Fantini – con la quale condivideva molto tempo per la passione comune per l’arte e per un atteggiamento di opposizione al regime fascista – dicendole, proprio in una chiesa: “Io mi farò prete”, come la scrittrice Valentina Alberici racconta nel suo libro “Lorenzo Milani. L’artista che trovò Dio”.

Entra il 9 novembre 1943 nel Seminario di Cestello in Oltrarno ove il percorso si presenta piuttosto duro, scontrandosi con la mentalità della Chiesa e delle sue regole. Il 13 luglio 1947, a 24 anni, viene ordinato sacerdote nel Duomo di Firenze dal cardinale Elia Dalla Costa e riceve il suo primo breve incarico a Montespertoli. Poi come coadiutore a San Donato di Calenzano a Firenze, dove lavora presso una scuola popolare di operai e consacra le sue esperienze proprio in un libro intitolato “Esperienze pastorali”.

L’esperienza che lo segna profondamente di sicuro è quella vissuta presso la scuola di Barbiana, minuscola e sperduta frazione di montagna nel comune di Vicchio, in Mugello, dove viene assegnato nel dicembre del 1954, a seguito di screzi con la Curia di Firenze per il suo comportamento definito, in sintesi, franco e sincero e troppo vicino agli emarginati.

In effetti nella popolazione regna povertà ed emarginazione, diametralmente opposta alla vita vissuta in precedenza ed animato di buona volontà decide di sperimentare una scuola a tempo pieno e un metodo di scrittura collettiva per facilitare coloro che, per mancanza di mezzi, sarebbero stati, inevitabilmente, destinati a rimanere vittime di una situazione di subordinazione sociale e culturale.

Si prefigge una scuola inclusiva, democratica, con l’obiettivo di non selezionare ma di far arrivare, tramite un insegnamento personalizzato, tutti gli alunni ad un livello minimo d’istruzione, garantendo l’eguaglianza con la rimozione di quelle differenze che derivano da censo e condizione sociale.

La scuola è alloggiata in un paio di stanze della canonica annessa alla piccola chiesa di Barbiana, un paese con un nucleo di poche case intorno alla chiesa e molti casolari sparsi sulle pendici del `monte Giovi: con il bel tempo si fa scuola all’aperto sotto il pergolato. La scuola di Barbiana è un vero e proprio luogo collettivo dove si lavora tutti insieme e la regola principale consiste che chi sa di più aiuta e sostiene chi sa di meno, 365 giorni all’anno. La scuola suscita immediatamente molte critiche e fa scaturire molti attacchi, sia dal mondo della chiesa sia da quello laico.” Le risposte a queste critiche vengono date con “Lettera a una
professoressa” nel maggio 1967, appena in tempo in cui i ragazzi della scuola, insieme a don Milani, denunciano il sistema scolastico e il metodo didattico che favorisce l’istruzione delle classi più ricche.

Don Milani, infatti, muore il 26 giugno successivo, vicino ai suoi ragazzi perché, come sosteneva, “imparassero che cosa sia la morte”; il corpo è custodito nel piccolo cimitero poco lontano dalla sua Chiesa scuola di Barbiana, seppellito in abito talare e, su espressa richiesta, con gli scarponi da montagna ai piedi di cui al libro di Valentino Rubetti dal titolo “Don Milani in controluce”, Armando Editore 2017.

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