venerdì, 29 Marzo, 2024
Cronache marziane

Kurt e i veri fuggitivi

La curiosità del mio amico Marziano – che mostra sempre maggior interesse per le storture del nostro sistema giudiziario, aggravate da alcuni censurabili comportamenti collettivi della casta dei magistrati – si è spinta fino a chiedermi di spiegargli cosa volesse effettivamente significare Piero Calamandrei (in “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”, Firenze, 1946, nel cui titolo pochi hanno colto la vena ironica) quando scriveva che “Per capire come il processo veramente funzioni, non basta neanche assistere alle udienze, o leggere le sentenze, o studiare le statistiche giudiziarie: i riti essenziali della giustizia sono quelli che si celebrano – senza spettatori – nelle Camere di consiglio, ove si decidono le sorti delle cause, o nei Consigli giudiziari, ove si decidono le sorti dei magistrati.”

La risposta alla domanda di Kurt è alquanto semplice: Camere di consiglio e Consigli giudiziari altro non sono che due facce di una stessa medaglia, identificabile come tale in una costante violazione del principio di trasparenza – essenziale ai fini del controllo di opinione pubblica – in favore del principio di riservatezza, ovvero nella progressiva trasformazione di quello giudiziario in un vero e proprio potere occulto, che tenta costantemente di palesarsi come difensore delle procedure indicate nel Codice del rito accusatorio, nonostante la continua demolizione dei suoi istituti da parte della Corte Costituzionale, fino ad esser quale Codice ridotto ad una forma di gruviera: intatta all’apparenza, ma piena di buchi al proprio interno.

A presidiare lo sviluppo e a difendere il mantenimento di quel potere – che ha da troppo tempo preso in mano le molte libertà dei cittadini, come indicate nella prima parte della Costituzione – concorrono in primo luogo i mezzi della comunicazione di massa, che usano il sostegno dato alle indagini – via via loro discretamente indicate dagli inquirenti – come moneta di scambio per le numerose campagne scandalistiche pubblicizzate in titoloni di prima pagina e inopinatamente qualificate dalle decisioni dei giudici come pure manifestazioni del diritto di cronaca, anch’esso tutelato dalla Costituzione.

Ove poi alcuno di quei giudici abbia contiguità con l’ipotetico imprenditore che possieda la rete televisiva o il giornale cui sia affidata la diffusione dell’indagine sui malcapitati, ecco che il gioco è fatto, perché la vittima della campagna mediatica resta priva di qualunque valida difesa.

Si viene in questo modo a consolidando un paradosso per cui non sono più gli indagati – soprattutto quelli che conoscono, meglio di chiunque altro, la propria innocenza – (e neanche gli imputati) a voler fuggire dal processo (anche solo per allontanarlo nel tempo) quanto piuttosto i Pubblici Ministeri che propongono arresti e sequestri cautelari e i Giudici per le Indagini Preliminari che puntualmente li approvano: il passaggio dall’apertura delle indagini alla loro chiusura si è così trasformato in un tempo privo di durata, nel corso del quale ogni abuso della potestà punitiva diviene possibile.

Singolare è poi la pretesa di negare – in stridente contrasto con le disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – da parte di quei medesimi giudici l’irreparabile pregiudizio che deriva agli indagati dall’uso (per non dir peggio) di simili strumenti ablatori.

In presenza di una tale situazione – a tutti nota (anche se molti fanno, ancora oggi, mostra di ignorarla) perde sempre maggior quota la distinzione fra colpevolezza, innocenza e momento dell’effettivo accertamento dell’una o dell’altra: né l’attuale ordinamento processuale, che dovrebbe caratterizzarsi per l’effettiva possibilità di ricorso agli strumenti di garanzia propri di ogni Stato democratico, impedisce – in Italia – di irrogare giustizia in modo diverso da quello del più primitivo dei Cadì; perché preventivamente consente che venga comminata una pena (dietro la fumosa giustificazione di esigenze cautelari, spesso unicamente enunciate come tali, ma non analiticamente indicate) e solo successivamente impone di celebrare il processo che ne potrebbe giustificare la comminatoria.

Questo fenomeno – prima la pena (pudicamente denominata “misura”) e poi il processo – è tipico della sola esperienza Italiana, ma è ben conosciuto anche dall’ Unione Europea, che non a caso ha imposto la riforma della nostra giustizia fra le condizioni necessarie per ottenere l’ulteriore erogazione dei finanziamenti previsti dal PNRR.

La risposta del Governo italiano è stata, almeno finora, piuttosto timida sul punto ed è consistita nell’approvazione degli atti normativi proposti dalla Ministra Cartabia, tanto corretti nei contenuti, quanto insufficienti rispetto agli obiettivi da centrare per correggere le anomalie di cui andiamo ora scrivendo.

Si tratta infatti di anomalie che non sono neanche valutabili alla luce delle parole di Franz Kafka (Il Processo, Torino, 1973), secondo cui “La sentenza non viene ad un tratto, è il processo che poco a poco si trasforma in sentenza”; perché – anche nella vicenda di Jozef K., accusato non si sa bene da chi, né di che cosa – se è vero che in quel racconto la detenzione precede la sentenza, almeno in quel caso c’è l’aspettativa di una sua emissione a breve, mentre – da noi – non è così.

In Italia infatti i processi durano anni e non molto meno possono durare pure le indagini preliminari e pertanto il tempo, come bene della vita, perde ogni suo intrinseco valore; a poco servono perciò le declamazioni dei leader politici che, all’inizio di ogni legislatura, promettono – magari in buona fede -l’accelerazione dei tempi di giustizia, o ambiscono addirittura a migliorare la qualità di quest’ultima.

Per superare l’emergenza, che dura da più di trent’anni, serve dunque altro: se non è possibile passare velocemente dalle parole ai fatti, si potrebbe almeno iniziare con la creazione di una Commissione parlamentare che ispezioni le modalità di apertura e conduzione delle indagini preliminari, che – nonostante assistite da interventi mediatici di grande rilievo – si siano poi concluse con assoluzioni dei destinatari, perché i fatti non sussistevano o per ragioni similari.

Anche il ricorso ad un simile strumento rischierebbe però di insabbiarsi, ove fosse adottato attraverso la creazione di un organismo bicamerale, per il quale è necessario approvare una legge.

Molto più semplicemente, si potrebbe allora procedere alla costituzione di una Commissione monocamerale, da istituire sulla base delle previsioni regolamentari dell’uno o dell’altro ramo del Parlamento e i risultati acquisiti in quella sede potrebbero essere utilizzati dal Governo per avviare, nel più breve tempo possibile, una riforma della giustizia che parta dalla rivisitazione dei poteri attribuiti agli inquirenti e(soprattutto) ai GIP che guidano le indagini preliminari, magari introducendo anche la previsione di una qualche diretta responsabilità di questi ultimi, in caso di accertato abuso del ricorso ai poteri cautelari.

Importante è l’aver presente quale obiettivo si voglia raggiungere: che è – né più, nemmeno – quello di rendere effettivo il principio a suo tempo posto alla base dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: secondo cui “Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo, nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa.” (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Articolo 10, 1948).

Kurt mi ha detto, sorridendo, di non credere che il Parlamento avrà il coraggio di giungere fino a tanto, ma chi scrive si permette di non condividere – nonostante quello che continua ad accadere in questi giorni – il pessimismo del Marziano.

Condividi questo articolo:
Sponsor

Articoli correlati

Coalizioni litigiose governabilità a rischio

Giuseppe Mazzei

Diritto all’oblio oncologico. Gregorini (Cna): serve una legge. Con Impresa donna una grande famiglia unita sui valori

Leonzia Gaina

La Costituzione sotto stress

Michele Rutigliano

Lascia un commento

Questo modulo raccoglie il tuo nome, la tua email e il tuo messaggio in modo da permetterci di tenere traccia dei commenti sul nostro sito. Per inviare il tuo commento, accetta il trattamento dei dati personali mettendo una spunta nel apposito checkbox sotto:
Usando questo form, acconsenti al trattamento dei dati ivi inseriti conformemente alla Privacy Policy de La Discussione.