giovedì, 28 Marzo, 2024
Società

La grande eredità che ci ha lasciato Benedetto XVI

Il Papa emerito Joseph Ratzinger è stato da tutti riconosciuto come il più grande teologo di questo secolo, il filosofo che seppe sfidare la modernità, utilizzando i suoi stessi strumenti, il difensore di principi non negoziabili, colui che rivendicò sempre il ruolo pubblico del cristianesimo, che seppe conciliare fede e ragione, che insistette sempre per il riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa, che promosse con forza il dialogo tra le religioni, salvaguardando l’identità del cattolicesimo. Comunque lo si possa giudicare  il suo magistero resterà un punto di riferimento  per tutti i cattolici. Su questi temi pubblicheremo una serie di articoli di Riccardo Pedrizzi, Presidente del Comitato Tecnico Scientifico dell’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti).

«Cari fratelli e sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo II i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi del suo aiuto permanente andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà, Maria sua Santissima Madre sta dalla nostra parte». Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, si presentò al mondo nel giorno della sua elezione con questa breve, sobria e intensa dichiarazione. Una dichiarazione di fede e di intenti da cui emerse la personalità impersonale e l’umiltà di una figura altissima caratterizzata da uno stile e da uno spessore che tutti, sostenitori e avversari, hanno sempre riconosciuto a questo grande teologo tedesco salito al soglio di Pietro, in un momento, peraltro, molto particolare per la Chiesa e per l’Occidente cristiano.
Una congiuntura storica che lo stesso Pontefice più volte illuminò di una riflessione severa e drammatica e pure piena di speranza e di fede per il futuro.
Già stretto collaboratore di Giovanni Paolo II, custode del magistero cattolico, Papa Ratzinger rappresentò quella parte del cattolicesimo che, pur non rinunciando a portare uno sguardo sempre nuovo sulla realtà del mondo, riteneva che il vero e ultimo ancoraggio della Chiesa e della comunità dei fedeli dovesse essere la tradizione perenne del cattolicesimo, le verità di cui essa è custode, la centralità di quell’avvenimento rivoluzionario che è l’incarnazione di Cristo nel mondo e sulla terra.

Le contraddizioni interne alla Chiesa

Ratzinger, già prima della sua elezione al soglio pontificio, era già intervenuto con durezza anche sulle contraddizioni interne alla Chiesa, non solo affrontando i suoi errori teologici interni, come la teologia della liberazione – che costituisce oggettivamente una apostasia del messaggio evangelico e un suo trascinamento sul piano della lotta politica – ed i suoi “accomodamenti” al mondo, ma anche alzando il velo su fenomeni di corruzione e decadenza morale e dottrinaria di cui alcuni rappresentanti della Chiesa di Roma erano stati protagonisti.

Ma soprattutto Ratzinger è stato sempre in prima linea nel combattere la battaglia spirituale per riaffermare e ribadire la necessità per l’Europa e per l’Occidente di non smarrire il ricordo e l’ancoraggio alle sue radici profonde. Nel dibattito sulle radici dell’Europa Ratzinger, in qualità di Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, aveva rammentato i rischi della deriva relativista, dello smarrimento della propria identità spirituale, di un pensiero debole che presentandosi come veicolo di apertura e tolleranza finisce, invece, con il cancellare ogni punto di riferimento, aprendo la strada a ideologie nichiliste che eliminano ogni possibilità di verità ed ogni riferimento etico. Per queste sue prese di posizione Ratzinger fu attaccato duramente dal fronte laicista, definito «il più scoperto portabandiera di una concezione reazionaria del mondo»: accuse che non scossero né la serenità di Papa Benedetto XVI né la sua determinazione. Questo Papa inoltre era da tempo impegnato sull’altro fronte della difesa della sacralità e del mistero della vita, minacciata dalla offensiva del fronte laicista.

La difesa della famiglia

In questa strategia demolitrice della società si inseriva l’altra aggressione al pilastro ideologico, culturale e sociale su cui si è retta fino ad oggi la civiltà occidentale: quello cioè della famiglia naturale. Anche su questo tema il Papa emerito, nel solco della predicazione e del magistero di Giovanni Paolo II, fu fermissimo nel ribadire che esiste un solo tipo di famiglia che è quello previsto e tramandatoci dal diritto naturale, formata da un uomo e da una donna. Del resto quello di Ratzinger, come è stato giustamente detto, è un pensiero chiaro, netto, che non lascia interstizi né dubbi né incertezze.

I fondamenti di questo pensiero peraltro non sono soggettivi (ecco l’impersonalità della sua personalità cui accennavamo), ma si basano sui fondamenti della Tradizione e del Magistero della Chiesa. Per convincersi di questo, per capire le intenzioni di quel Papa basta del resto porre attenzione a due testi dello stesso Ratzinger: il primo è la dichiarazione “Dominus Jesus” da lui diffusa il 6 agosto del 2000, nel giorno della Trasfigurazione del Signore; il secondo è l’omelia pronunciata nel momento stesso dell’inizio del Conclave, dopo la quale i Cardinali hanno cominciato il loro lavoro “de eligendo” pontefice.

I fondamenti di questo pensiero dunque sono la Tradizione e il Magistero della Chiesa (“Dominus Jesus”, pag. 2). E poiché la Chiesa altro non è che il Corpo di Cristo e Cristo è l’unico Signore del cielo e della terra e l’unico tramite attraverso il quale il Padre si rivela al mondo e lo Spirito Santo può abitare il Secolo, chi è fuori dalla Chiesa è fuori dalla cattolicità. Si leggano le tredici pagine della “Dominus Jesus”.

Disponibilità al dialogo

Come è stato notato non ci sono troppi margini a questo assunto, tanto che anche verso le altre chiese cristiane, pur in un atteggiamento di una grande apertura e disponibilità di dialogo, vengono ribaditi verità irrinunciabili: pur essendo nella loro imperfezione sempre in grado di avviare i fedeli sulla via della salvezza esse non sono così perfette come quella di Roma soprattutto perché in alcune di esse, soprattutto quelle protestanti, è venuta meno la funzione del sacerdote come tramite esclusivo tra i fedeli e la rivelazione, insieme con il potere di “sciogliere e legare”. Quanto alle altre religioni monoteiste, Ratzinger riconosce e conferma che in esse manca il mistero dell’incarnazione, manca la Chiesa intesa come gerarchia pontificale investita di un crisma superiore, mancano i sacramenti e nello specifico il battesimo e l’eucarestia.
Ma la riflessione più attenta il Papa emerito la riservava al mondo dove Dio è morto e alle sue aberrazioni ideologiche: libertarismo, libertinismo, sincretismo, scetticismo, marxismo, relativismo. Per questo l’Occidente, il luogo in cui si dispiega con più forza il processo della secolarizzazione, e in particolare l’Europa, tornavano ad essere terra di missione per la Chiesa di Roma. Proprio per contrastare quel relativismo che consiste, come disse  il santo Padre di allora, «nel lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento» e sta instaurando «una dittatura che non riconosce nulla come definitivo, lasciando come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Ad esso deve contrapporsi una fede adulta, radicata nell’amicizia con Cristo, la quale ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. In Cristo coincidono verità e carità. Voi siete amici se fate ciò che io vi comando (Giovanni, 14, 15)». Ma questa azione di evangelizzazione, questa “rivoluzione conservatrice” da portare nel cuore della modernità non deve essere una semplice operazione ideologica, qualcosa di formale o politico, che alla fine resta alla superficie. Deve trattarsi, per Ratzinger, di un’autentica rivoluzione spirituale, di un’azione di evangelizzazione reale, dove centrale resta l’incontro delle anime degli uomini con l’avvenimento cristiano.

Contro l’uso politico della Chiesa

Da qui la diffidenza e la freddezza di Papa Ratzinger per chi vorrebbe usare la Chiesa come strumento politico senza aderire ai valori della fede: una soluzione tattica che non risolverebbe il dramma della scristianizzazione dell’Occidente dove piuttosto è assolutamente necessario un ritorno forte al patrimonio identitario della cattolicità apostolico-romana, che mantenga il dialogo con tutti, ma da fermissime posizioni di ancoraggio e di radicamento profondo nella propria tradizione spirituale e nella propria fede. E questa fede che deve illuminare la cultura e la vita e nello stesso tempo inculturarsi nella storia dell’uomo e dei popoli, che non è ideologia, deve continuamente essere alimentata dalla preghiera e dalla celebrazione della liturgia e del mistero eucaristico.

Del resto il nome stesso assunto da Ratzinger, che si riallaccia alla memoria di Benedetto XV – il Papa che definì la Prima guerra mondiale un’inutile strage – è un evidente richiamo a San Benedetto, colui che fondò l’Ordine e avviò il movimento del monachesimo. San Benedetto fu il protagonista e l’organizzatore di quel primo e decisivo passo per l’evangelizzazione dell’Europa, che oggi di nuovo si rende così drammaticamente necessaria. Benedetto XVI ebbe di fronte a sé, dunque, avendolo indicato e tracciato fin dall’inizio, un cammino impervio e difficile, che però intese affrontare con quella serenità e quella letizia che testimoniavano di una certezza profonda nella provvidenza e nella necessità della vittoria cristiana.

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