giovedì, 25 Aprile, 2024
Esteri

In difesa di vita, dignità e libertà oppresse dal regime di Teheran

"Freedom rally for Iran" ,la manifestazione a Roma per il popolo iraniano

“Donna, vita, libertà”, “Uomo, patria, civiltà”, queste sono le parole di un solo canto, per due nature, quella femminile e quella maschile, che scambiandosi amore conquistano e generano la vita. Due slogan che uomini e donne si urlano a vicenda, gli uni con le altre per darsi forza, per ribellarsi alla morte, per gridare più forte delle pallottole esplose contro le donne, contro la vita.

Queste sono le parole che abbiamo visto  sugli striscioni che sfilavano durante la manifestazione “Freedom rally for Iran” , organizzata a Roma dagli studenti iraniani a sostegno delle donne e del popolo  che da due settimane sta protestando, a prezzo della vita, contro l’uccisione di Mahsa Amini, la ragazza curda di 22 anni uccisa dalla polizia morale iraniana, colpevole di non aver ben indossato il velo. In questi giorni manifestazioni simili stanno avvenendo in moltissime città del mondo, oltre 150, perché l’unica risposta possibile al silenzio freddo della morte e della repressione spietata, è far conoscere, parlare, esserci.

E sono state voci chiare e forti, sbavagliate dalla paura, liberate da qualunque comprensibile terrore, perché questo accade, dopo lo shock, quando si assiste, troppo a lungo, all’orrore, quelle che si sono levate dalla folla. E il silenzio, che è stato osservato per due minuti, questa volta non è stato dato dalla violenza di regime, ma aveva contorni di carezza dolorosa, la stessa che si posa su un volto caro, quando la porta irreversibile della morte costringe al commiato.

A Roma il corteo di migliaia di donne e uomini, studenti, attivisti, persone comuni, è partito da piazza della Repubblica per arrivare a piazza Madonna di Loreto fino all’ingresso di piazza Venezia. “Le donne che scendono in piazza oggi in Iran, ci indicano una strada, quella della dignità, della difesa della vita e della libertà, con loro manifestano tanti uomini, stanchi di repressione, odio e violenze, in uno stato teocratico dove ogni espressione di libertà è repressa. Siamo con loro, con le loro speranze e il loro coraggio”, dice una delle organizzatrici al microfono, leggendo una lettera a cui un’anima mente tutta la folla aderisce. Questo è quello che risponde un uomo, che abbraccia una delle ragazze manifestanti, con la mano dipinta di rosso “abbiamo vissuto, prima di venire in Italia, schiacciati dal pugno di ferro di un regime che ha voluto distruggere con la violenza non solo la vita, ma anche ogni affermazione di identità. Non è tollerabile pensare di uscire di casa e, colpevoli di niente, tornare cadaveri. Non è accettabile per qualunque essere umano. Un regime che disprezza l’essere umano è solo criminale e assassino.”

È proprio questa la parola, che da sola, hanno gridato tutti in coro verso lo stato che uccide i suoi figli, che fa strage dei suoi fiori: assassino. I volti scoperti delle ragazze, la loro forza, la loro bellezza, sono la risposta e il loro intento è arrivare lontano, farsi voce per le loro sorelle martirizzate e oppresse, costrette al silenzio, all’umiliazione e alla menzogna, per restare almeno vive, come è accaduto a Sepideh Raduno, una ragazza che quest’estate, dopo aver spostato il velo, in seguito a un litigio in autobus con un’altra donna, è apparsa in televisione, con evidenti segni di tortura sul viso, ripetendo ciò che il regime ordinava, ossia che “il nemico” l’aveva indotta a spostare il velo. E proprio perché nessuna donna si senta più sola contro la ferocia, le studentesse irachene hanno cantato forte, gridato forte, contro la morte. Perché quello che c’è da fare è amare follemente, come ricordiamo ancora con una poesia di Forugh Farrokhzad, la più grande poetessa irachena del ‘900.

“Quando la mia fede era impiccata alle fragili corde della giustizia/E in tutta la città/Facevano a pezzi il cuore dei miei occhi,/quando soffocarono con il fazzoletto nero della legge/gli occhi infantili del mio amare/e dalle tempie pulsanti della mia speranza/sgorgavano fiotti di sangue,/quando la mia vita ormai non era più nulla,/nulla, se non il tic-tac di un orologio,/capii che dovevo amare,/amare, amare follemente.”

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