sabato, 27 Aprile, 2024
Manica Larga

La Gen Z verso gli NFT come status symbol

Ambiente, sostenibilità, integrazione. Sono queste alcune tra le parole più usate per raccontare la generazione Z, ovvero i nati tra la fine degli anni ‘90 e il 2010.

Infatti, secondo la narrativa dominante, l’impegno per un mondo più equo sembra rappresentare la chiave per comprendere i nativi digitali. E in un certo senso sembra questa la generazione che più di altre ha saputo raccogliere l’eredità dell’inventore del web, Tim Berners-Lee. Fu infatti questi a vedere nel digitale l’occasione per un nuovo rinascimento fatto di decisioni condivise, una democrazia più sana e un mondo più inclusivo.

Ci siamo, nostro malgrado, risvegliati in un mondo polarizzato e ripiegato sulla retorica del bene e del male, a scanso di tutte le possibili sfumature che potremmo trovarci in mezzo. Così i social media come Facebook sono finiti al centro dello scandalo perché a tal punto portatori sani di queste dinamiche da farne il perno dei propri modelli di business. Come ebbe a dire uno dei dipendenti della piattaforma fondata da Zuckerberg, è proprio grazie a questa polarizzazione che ci è possibile monetizzare.

Facebook addio, benvenuti NFT

Tuttavia, abbiamo cominciato a sviluppare gli anticorpi e con essi ad abbandonare Facebook, come confermano gli ultimi dati di bilancio, compresi i ragazzi della generazione Z che secondo un recente rapporto hanno più in generale cominciato a diffidare degli algoritmi.

Questo apre di fatto a nuovi scenari perché chiama in causa i creatori di contenuti digitali originali. Ne sarebbe una dimostrazione la crescente tendenza a investire in NFT, pezzi unici digitali memorizzati sulla blockchain, fungibili solo online e solo dai legittimi proprietari. Può trattarsi di un paio di sneakers digitali o di una borsa anch’essa digitale per personalizzare il proprio avatar, ricalcando quanto accade da tempo nel gaming dove è possibile personalizzare i propri personaggi.

Un nuovo materialismo

Al momento, i numeri dicono che un terzo degli appartenenti alla gen Z ha acquistato capi di abbigliamento digitale da usare solo sui social media. Le aziende della moda ne hanno preso atto e giganti come Nike o marchi del lusso come Balenciaga hanno colto la palla al balzo sfilando nel metaverso. Asics ha anche inaugurato una  sorta di vivaio per creativi digitali, al fine di supportare i propri sforzi strategici.

Il rovescio della medaglia di quello che è stato definito il nuovo materialismo sta nella funzione di status symbol che questi oggetti finiscono per ricoprire, il che contrasta con l’ethos di una generazione che aveva fatto dell’inclusività il proprio tratto distintivo. Parafrasando Dostoevskij, il comportamento umano è spesso più complesso di quanto noi umani siamo in grado di spiegare. E questo caso sembra non fare eccezione.

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