venerdì, 19 Aprile, 2024
Agroalimentare

Il fronte caldo del cibo: il conflitto russo – ucraino e le sue ripercussioni

È il momento di prendere decisioni capaci di incidere sulla difficile situazione di oggi. Intervista al presidente dell’Unione Coltivatori Italiani, dott. Mario Serpillo

Il conflitto si insinua all’interno di una pandemia che dura da oltre due anni e nel mezzo di una crisi energetica che ha messo in ginocchio il mondo produttivo, giunta a sua volta in seguito all’innalzamento del costo dei trasporti internazionali.

Lo scontro si è trasferito dal campo di battaglia all’economia, creando le condizioni per una crisi mondiale, che investe anche il cibo. Il fronte decisamente più caldo è quello dei cereali e dei semi oleosi; Russia e Ucraina insieme valgono il 26% dell’orzo mondiale, ¼ della produzione planetaria di girasole ed il 75% delle forniture di questo olio, il 18% della produzione di mais e ben il 35% di grano tenero. Le vie di comunicazione e di trasporto sono sotto attacco e la Russia è colpita dalle sanzioni. L’Ucraina ha un ruolo importante sul fronte agricolo, con una produzione di circa 36 milioni di tonnellate di mais per l’alimentazione animale (5° posto nel mondo) e 25 milioni di tonnellate di grano tenero per la produzione del pane (7° posto al mondo) mentre la Russia è il principale Paese esportatore di grano a livello mondiale. “La stagione della semina è alle porte, le scorte sono in sofferenza e pensando al futuro dobbiamo essere consapevoli che la produzione ucraina quest’anno, nella migliore delle ipotesi, sarà inferiore almeno del 30%. È evidente il pericolo che corriamo, questo è il momento di stabilire una strategia alimentare almeno per il prossimo anno”, le parole di Mario Serpillo.

Mario Serpillo, presidente Unione Coltivatori Italiani

L’Italia importa il 60% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e la metà del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. “Ciò rende più costoso produrre e contribuisce alla crescita dell’inflazione, che già gravava sulla zona euro. Da aggiungere, anche, il rischio di uno stop alle esportazioni di fertilizzanti e carburanti da parte della Russia, in risposta alle sanzioni economiche ricevute. Ci vuole anche un piano per garantire remunerazioni dignitose ai produttori”, continua il numero uno dell’UCI.

E la situazione appena descritta, attaccando ciò che di più necessario esiste, il cibo, mette a repentaglio la sicurezza alimentare. Cosa si può fare da questo punto di vista? “È strategico portare avanti, da una parte, una valutazione minuziosa dei bisogni dei Paesi più in difficoltà, da affidare alle organizzazioni internazionali quali la FAO ed il World Food Programme e, dall’altra, monitorare i mercati, iniziativa fondamentale anche per le fasi successive”, suggerisce ancora il dott. Serpillo.

L’Europa per tenere costante il tenore delle forniture non può che cambiare versante e guardare ad ovest, al grano soprattutto canadese. Che però viene da più lontano, è quotato alla Borsa di Chicago ed è più costoso. Ed è per lo più ogm, quindi incontra diversi ostacoli all’utilizzo, primi fra tutti i disciplinari delle denominazioni che ne impediscono l’impiego.

Un’altra mossa strategica potrebbe essere l’impiego i terreni messi a riposo per aumentare la produzione nazionale, oggi deficitaria. “L’accordo politico è giunto nelle ultimissime ore ed ha liberato circa 4 milioni di ettari di cui 200.000 in Italia. Ma vale per mais e soia, ne sono escluse le produzioni autunno – vernine”. Una soluzione per l’immediato, ma non ancora una risposta di lungo periodo, anche perché non è prevedibile quanto durerà il conflitto. “Senza dimenticare che le questioni pre – pandemia sono ancora tutte lì; la transizione ecologica, la gestione del pnnr, a cui si somma la siccità che sta colpendo il nostro Paese e che rischia di farci tornare ai livelli di guardia toccati nel 2017”, conclude Mario Serpillo.

Tirando le somme, nel breve e nel medio periodo la presenza di cibo sugli scaffali sarà assicurata. I problemi li avremo però con il livello dei prezzi e con le forniture energetiche. Nella speranza che l’orrore della guerra cessi quanto prima possibile, abbiamo bisogno di una strategia di uscita dalle dinamiche descritte.

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