venerdì, 19 Aprile, 2024
Cultura

Né uomo né donna e la solitudine, un male senza sesso

La linea sottile che divide il femminile dal maschile segna il confine di molte esistenze. Annibale Ruccello, drammaturgo campano, scomparso a soli trent’anni, ha dedicato molte delle sue opere teatrali alla Solitudine di chi vive in questa terra di mezzo fra due sessualità.

I personaggi inventati da Ruccello, Jennifer, Adriana, Ida, Anna Cappelli fino a Clotilde protagonista di Ferdinando, portatori di una insanabile ferita familiare e sociale sono metafore di amarezza, dolore, abbandono e violenza.

Non sono né uomini né donne ma persone abbandonate persino da Dio, diseredati che nei Rioni dissipano sogni e speranze.

Il Mondo Reale entra in scena solo via cavo, come accadeva nella vita di Ruccello che rifuggiva ogni frequentazione per affidare sogni confidenze e desideri ad un vecchio telefono appeso al muro.

Il teatro post-eduardiano deve a Ruccello la creazione di una nuova lingua che attinge alla napoletanità senza confini, mescola tradizione barocca, contaminazioni dell’hinterland ed analfabetismi di derivazione televisiva e trasuda di anarchia culturale.

Sul palcoscenico dell’OFF/OFF Theatre di Roma, irrompe la disperazione femminile di Jennifer, tra i testi più rappresentati di Ruccello. Antonello De Rosa più che interpretare superbamente Jennifer, interpreta la sua solitudine avviluppandosi in una ragnatela telefonica in cui tutti parlano con tutti tranne che con chi vorrebbero davvero parlare. Sospesa tra sogno ed illusione la vita di Jennifer è scandita solo da suoni: la radio, la televisione, il telefono, il carilloin. Le voci sostituiscono le presenze, si intersecano con il pianto ed il riso e comprovano che la diversità oscilla tra il comico ed il tragico.

Nella tradizione partenopea vige la credenza che il femminiello porti fortuna, sia portatore di una carica di magico, stando al limite del diverso, in condizione simbolica di ermafroditismo. Sono  figure familiari con una dimensione sociale che non suscita odio discriminatorio ma empatia sociale.

La versione di De Rosa di Jennifer ci riporta all’atmosfera sfumata e confusa dei sogni. Difetti e pregi tratteggiati senza contorni netti e decisi, come si confà al ritratto di un’anima Alla durezza delle odierne definizioni di “crossdressing” e di “corpi dissonanti”, De Rosa oppone l’abbagliante esagerazione di sgargianti vestaglie da camera. Va dritto al punto e attualizza il messaggio: nella stanza di Jennifer alberga un male senza sesso, democratico e egualitario:la Solitudine.

Più che una legge sulle discriminazioni di genere, occorre una Legge che sancisca il diritto a non restare soli.

Un diritto che da secoli, il giorno della Candelora, diventa grazia invocata durante la Juta dei femminielli alla Madonna di Montevergine e che nella nostra Costituzione, sin dal 1948, è definito “solidarietà sociale”.

 

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