venerdì, 19 Aprile, 2024
Considerazioni inattuali

Anche i demoni celebrano Dante

Un giorno un atro demone (la barba unta e atra, Dante) osservò un angelo che celebrava il sommo poeta, lo ascoltava e, nel mentre, si riscopriva estasiato, e detestava sé stesso per questo: per aver ammirato una creatura celeste, candida e luminosa, forte della sua morale. Sviluppò un’ossessione: imprigionò quell’angelo ceruleo per anni, voleva togliergli ogni spiraglio di luce, spogliarlo della sua essenza divina; come accadde ad Ercole che Ade cercò di ridurre a creatura mortale senza riuscirci. Ebbene, neanche l’angelo lo divenne del tutto: non bevve mai quell’ultima goccia, si rigenerò proprio quando le speranze erano quasi del tutto perdute.

LA FORZA ANGELICA

L’angelo dimostrò a sé stesso e agli altri la sua natura di divinità: grazie al trionfo del suo talento e della sua bontà, che si ersero lucenti ed incontrastate. Il demone divenne ancor più furioso: i suoi progetti, il nutrimento che ricavava tramite l’oscuramento di quella luce, l’energia purissima che rubava all’angelo era rifiorita. Cercò ogni sorta di vendetta immaginabile. Non poteva vivere ed accettarsi, guardando crescere quel virgulto di bellezza interiore e dalle forme angeliche. Come fu per Salieri che nelle note di uno spartito di Mozart, vedeva la sua sconfitta – il demone si sentiva trafitto dal talento dell’angelo.

LE TENTAZIONI FUMOSE

Eppure, nonostante ogni sfoggio di potere, ogni trama abilmente architettata a suo sfavore – l’angelo dopo anni di ingiustizie e soprusi, s’era finalmente liberato. Il demone aveva tentato di riattrarlo nel suo vieto, angusto disegno: ingannevole, d’illusorie promesse di successo. L’angelo si confidò col figlio di Dio, memore delle stesse lusinghe, quelle stesse tentazioni esercitate da Satana nel deserto per tre volte, durante i quaranta giorni e le quaranta notti di digiuno.

L’AMORE INCONDIZIONATO

L’angelo non nutriva odio per quel demone meschino: un servo di Satana, come in terra ce ne sono tanti. Anzi, provava affetto per la sua povertà, per la straordinaria bellezza dell’aspetto che una volta l’aveva attratto; provava pietà per il suo strenuo, vuoto esercizio di dialettica; provava tenerezza per la sua insicurezza e per il costante desiderio di somigliare al Dio, seppure completamente vuoto e privo della grandezza interiore, necessaria ed essenziale.Provava pietà per il suo stato di continua agitazione, quello strazio dell’animo, sempre inquieto che si nutre soltanto di rabbia. Il livore del demone, livido, ancor più aumentava: egli non poteva spiegarsi – nella pochezza del suo animo – come riuscisse l’angelo a saper così disinteressatamente amare, a voler ancora bene ad un essere come lui – che desiderava ed operava unicamente per il suo male, denso di rancore.

LA BONTA’ CHE ATTERRISCE

La forza morale dell’angelo lo atterriva ed il suo talento era per il demone come un veleno che deturpava la sua giovinezza sempiterna – il nutrimento che ricavava dalla sua opera distruttiva verso le creature purissime che aveva colto. Forse era questo l’unico caso di un angelo che si ribella al demone e ne esce con le ali quasi rotte, ferito nella mente e nel fisico, ma indenne nello spirito – ancora candido e forte di quello stesso amore che aveva donato al demone. Fu proprio grazie a quell’amore incondizionato che l’angelo aveva nutrito per il demone, pur rifiutandolo, che dimostrò la sua essenza divina.

LA PUREZZA DELLA VERITA’ IRRAGGIUNGIBILE

L’eccezionale fibra morale che il demone non avrebbe mai avuto – quel talento naturale delle capacità che il demone aveva soltanto mimato con lo studio più disperato ed ossessivo – lo rendevano folle di gelosia. Così il demone prese un gargoyle dalla Cattedrale di Notre-Dame e gli diede vita da vuota statua di pietra, lo educò da primitivo robot che era: gli insegnò a studiare, ad apprendere meccanicamente da un libro e dall’altro e a celebrare Dante – proprio come faceva l’angelo naturalmente e divinamente – con l’intento ossessivo di procuragli un dolore e di cercare disperatamente di dimostrare a sé stesso – demone superiore per malvagità e bellezza a tutti gli altri – che quella creatura divina poteva, doveva essere superata. Eppure, la storia ci ha insegnato da sempre e confermerà per sempre che ogni tentativo frutto dell’invidia furente di Asmodeo, non ha mai trovato né mai giungerà ad ingannare la purezza della verità.

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