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Confartigianato: dati negativi, settore moda in allarme. Produzione giù del 6,6% e 11 imprese chiuse al giorno

Lo crisi sul tavolo del Ministero. Vendite in calo e import cinese in aumento. Il rebus del mercato americano
martedì, 21 Ottobre 2025
2 minuti di lettura

La moda italiana attraversa una fase ancora estremamente critica. I numeri, ancora una volta, confermano che la discesa ha toccato livelli allarmanti. Una delle attività produttive, fiore all’occhiello, della creatività italiana resta in affanno.
Nei primi otto mesi del 2025 la produzione nel tessile abbigliamento e pelli è scesa del 6,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, una caduta di oltre cinque punti più ampia rispetto alla media della manifattura italiana (-1,4%). Anche il mese di agosto conferma la tendenza negativa con un calo dell’1,9% su base annua.

Export in diminuzione

Il punto sulla congiuntura nel settore della moda è stato elaborato dall’Ufficio Studi di Confartigianato a margine dell’incontro tenuto al ministero delle imprese e del Made in Italy (Mimit) per affrontare le emergenze della moda italiana, in cui è intervenuto Moreno Vignolini, Presidente della Federazione Moda di Confartigianato Imprese.
L’export diminuisce mentre cresce la concorrenza extra-UE. “Le esportazionidi prodotti del tessile, abbigliamento e pelli scendono del 3,4% nei primi otto mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”.

Aumenta l’import dalla Cina

L’import di prodotti tessile, segnala la Confartigianato, abbigliamento e pelli aumenta del +3,4% nei primi otto mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, combinazione di una flessione del 2,0% dai paesi UE e di un aumento dell’8,2% dai paesi extra UE, con una crescita a doppia cifra (+11,8%) dell’import dalla Cina, che rappresenta circa un terzo (34,3%) delle importazioni extra UE della Moda.

La crisi travolge i negozi

Le attese sugli ordini, altro dato che preoccupa la Confartigianato, a settembre 2025 ancora in negativo, con saldo di -9,6 (era -11,4 ad agosto e -9,0 a luglio).
“Il prezzo sociale della crisi è alto”, evidenzia la Confederazione, “Nel secondo trimestre del 2025 si sono registrate 1.035 cessazioni di impresedel tessile abbigliamento e pelli, di cui 843 sono relative a chiusure di imprese artigiane: nel trimestre in esame il settore ha visto chiudere 11 imprese al giorno, di cui 9 sono imprese artigiane.
Sulla crisi della moda italiana, al ciclo congiunturale debole si sovrappongono rilevanti fattori strutturali”.

Le quote di vendita ridotte

Come evidenziato in un recente lavoro pubblicato dalla Banca D’Italia sul settore moda, dopo un biennio di elevata inflazione, i consumatori sono più sensibili ai prezzi, mentre si alza la propensione al risparmio a fronte di una elevata incertezza. “La transizione green”, osserva la Confartigianato, “induce una maggiore circolarità dei beni di consumo. La quota della moda sugli scambi globali si è sensibilmente ridotta. Inoltre, pesano i dazi, a cui fa fronte il robusto posizionamento qualitativo del made in Italy della moda”.

Il rebus americano

Oltre alla frenata dell’export negli Stati Uniti determinata dai dazi, osserva ancora la Confartigianato, le vendite del made in Italy della moda potrebbero risentire del dirottamento verso altri mercati di prodotti di moda cinesi precedentemente diretti negli Stati Uniti. Inoltre, è bassa la probabilità che i prodotti della moda italiana possano sostituire quelli cinesi su mercato statunitense, che richiede prodotti più sostituibili provenienti da altri produttori asiatici, tra cui domina il Vietnam. L’incertezza che caratterizza l’attuale fase della domanda mondiale influisce sull’offerta della moda specializzata nei beni di lusso.

Incertezze e ricadute europee

“L’evoluzione della moda italiana ha ricadute sul settore a livello europeo. L’Italia”, sottolinea infine la Confartigianato, “nel settore della moda, infatti, conta 461 mila addetti, ed è il primo paese nell’Ue a 27 davanti al Portogallo con 168 mila addetti, alla Polonia con 139 mila, alla Romania con 133 mila e alla Germania con 131 mila. L’occupazione in Italia è pari al 27% del totale del settore dell’UE”.

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