domenica, 17 Novembre, 2024
Economia

Mario Draghi: My way

L’editoriale di Mario Draghi sul Financial Times ha il merito di aver scosso il mondo dei media e della comunicazione politica focalizzata sui provvedimenti emergenziali snocciolati ad horas. Era altrettanto urgente e necessario un intervento di ampio respiro che ponesse alcune immediate questioni sulla via della ripartenza e della ricostruzione post pandemia covid-19.

È solo questione di tempo: si ritornerà ad una vita normale ed occorrerà aver pensato per tempo le misure e le azioni da porre in concreto per il bene di tutti.

Che ci sia questo bisogno di ritorno alla normalità è confermato dal fatto che tutte le testate hanno rilanciato l’editoriale: non è solo una questione di prestigio e di autorevolezza di Mario Draghi o del Financial Times. L’economista italiano e la rivista hanno, infatti, posto subito al centro una delle domande esistenziali più importanti che accompagna l’uomo sin dagli albori del pensiero filosofico occidentale: domani che ne sarà di noi?

La voce di Mario Draghi, nell’intervista, vola dunque, consapevole della forza della propria preparazione tecnica ed esperienza di lungo corso nelle istituzioni e nel mercato, esattamente come la voce di Frank Sinatra in My Way nel Live at Madison Square Garden, del 1974.

Il My Way di Mario Draghi ruota intorno a tre grandi temi cruciali per fronteggiare la pandemia del covid-19 e per rispondere alla domanda (domani che ne sarà di noi?): debito pubblico, centralità dello Stato nel garantire e farsi carico del nuovo debito pubblico, rapporto con il sistema bancario, il credito per iniettare fiducia sui territori e nel sistema produttivo per conservare adeguati livelli di occupazione.

Partiamo dal primo tema, quello del debito pubblico, perché di maggiore impatto ed evidenza.

Ostaggio del formalismo e sotto la minaccia dello spread nel 2011, più realisti del re, in Italia abbiamo modificato l’art. 97 della Costituzione prevedendo – con la modifica introdotta dalla Legge Costituzionale 20 aprile 2012 n. 1, a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014 – che “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.

Il patto di stabilità in Costituzione rompe il patto di equità intergenerazionale e infragenerazionale negli investimenti per la ripartenza dell’economia post pandemia covid-19; con la conseguenza anche che le misure legislative, ove pure concordate con l’UE, potrebbero soffrire di evidenti problemi di tenuta costituzionale, soprattutto in sede di conversione dei decreti legge emergenziali che aprono i cordoni della spesa in assenza di programmazione e ponderazione degli effetti sul medio-lungo termine.

Questa modifica costituzionale potrebbe ora costituire una rigidità che rallenta o peggio ostacola quella velocità e flessibilità di decisioni che la situazione emergenziale richiede in mancanza di una politica monetaria ed economia comune nell’UE.

Il primo insegnamento è, dunque, che non si modifica una Costituzione solo per mere questioni di speculazione finanziaria e contabili di equilibrio di bilancio; occorre qualcosa di più meditato e profondo per mettervi mano.

Il tema del debito pubblico in Italia richiede anche un ripensamento su come la spesa pubblica è allocata. La qualità della spesa ha spesso fatto la differenza rispetto agli altri Paesi che hanno impegnato il tempo e le risorse per ammodernarsi, investendo in innovazione, infrastrutture e servizi per i cittadini. In Italia il tema del debito pubblico è purtroppo associato all’inefficienza della spesa: ogni manovra dovrà confrontarsi con questo retaggio negativo e superare il gap di fiducia tra cittadini ed istituzioni.

Il tema del debito pubblico riaccende i riflettori anche su una vecchia soluzione rimasta nel cassetto: quella del Prof. Giuseppe Guarino che proponeva di sostenere e rilanciare gli investimenti e l’occupazione ricorrendo al deficit da garantire mediante costituenda società dello Stato, Debito Spa, cui affidare, a garanzia, il patrimonio pubblico per avere una leva finanziaria e per sostenere il PIL. Operazione ovviamente ad alto rischio, in quanto, ove il debito non sia onorato, la garanzia (costituita dal patrimonio dello Stato) è immediatamente incamerata dal creditore.

Ciò apre al secondo tema: la centralità dello Stato nell’esercizio delle sue prerogative e funzioni primarie.

Tale ruolo esige mezzi, strutture e burocrazia al passo con i tempi, di cui purtroppo ancora l’Italia non si è dotata, avendo procrastinato per molto tempo quelle riforme necessarie ed indifferibili per modernizzare le istituzioni. Qui il secondo insegnamento: estote parati (o meglio, oportet studuisse non studere).

Le emergenze (sanitarie, economiche, occupazionali) non si affrontano con l’improvvisazione tecnica, per di più con frenesia, ma richiedono ponderazione, tempo e preparazione sistemica di lungo corso. Basti pensare che molte categorie professionali sono state investite dal vincolo dei crediti formativi ma senza una autentica e moderna programmazione professionale innovativa: la qualità del sistema formativo scolastico-universitario e professionale va, quindi, complessivamente rivisto in Italia. Il dinamismo emergenziale, senza adeguata preparazione e competenza, rischia infatti di sfociare in affarismo, con evidenti ripercussioni negative sul debito pubblico: ragion per cui nell’emergenza occorrono più contrappesi di rango costituzionale, come il controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti sulla spesa pubblica che non può essere lasciata a briglie sciolte. Spesa e ulteriore debito pubblico dovranno essere oculatamente allocati con manovre e provvedimenti che richiedono chiarezza di scelte, adeguatezza di preparazione e controlli.

Arriviamo quindi al terzo punto. I limiti strutturali dello Stato, per l’assetto che oggi ha assunto, spinge a dover trovare una immediata risposta nel ruolo centrale delle Fondazioni bancarie (per approfondimenti normativi sul D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153, cfr https://leg16.camera.it/561?appro=421 e https://www.acri.it/normative/evoluzione-normativa/).

La separazione voluta in passato (leggi Amato, Dini, Ciampi) tra le Fondazioni bancarie, soggetti privati rappresentativi del territorio, e le Banche, potrebbe consentire di dare immediatamente corso agli auspici di Draghi, dovendo le fondazioni, senza fine di lucro, perseguire esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, in rapporto prevalente con il territorio  dando preferenza ai settori a maggiore rilevanza sociale. Le fondazioni operano con criteri.

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