lunedì, 18 Novembre, 2024
Politica

Italia Viva, ma non vegeta

Il numero quattro non porta fortuna a Renzi.

il 4 dicembre del 2016 perse il referendum confermativo sulla riforma costituzionale su cui si era giocato la testa. E fu costretto a lasciare la guida del Governo, mantenendo la segreteria del partito.

il 4 marzo del 2018, alle elezioni politiche, il Pd scese al 18% e Renzi si dovette dimettere anche da segretario.

Il 4 marzo del 2019 veniva eletto segretario del Pd Nicola Zingaretti e Renzi annunciava che non avrebbe fatto guerriglia nel partito.

Tutti pensavano che il brillante politico fiorentino si concedesse un po’ di tempo di riflessione e che, anche senza abbandonare la scena politica, come pure aveva promesso solennemente se avesse perso il referendum, si dedicasse a ricostruire pazientemente una sua identità politica e una possibile strategia di lungo termine, visto che egli ha da poco compiuto 45 anni.

Invece 4 mesi orsono faceva i primi vagiti la nuova creatura della politica italiana. Nella strapiena stazione Leopolda, diventata luogo e simbolo del “renzismo”, nasceva “Italia Viva” figlia dell’irrequietezza politica di Renzi che sanciva così, finalmente per lui e per gli altri, lo strappo dal Pd.

E, ironia della sorte, il nuovo partito ha un acronimo, IV, che in numeri romani significa 4…

La gestazione di IV è durata poco, troppo poco. Possiamo immaginare che l’idea sia venuta qualche tempo dopo la sconfitta alle primarie di Giachetti, candidato di Renzi, e che la gestazione sia iniziata, dopo le elezioni europee, a giugno con l’escalation di Salvini che faceva prefigurare qualche imminente show down.

Una gestazione durata, quindi, 4 mesi.  Ma la maledizione del 4 continua.

Come succede sempre quando si fanno le cose in poco tempo, la fretta crea più di un problema.

Renzi era partito col solito travolgente entusiasmo e aveva immaginato che ci fosse un rapporto di proporzionalità tra la folla che si era ammassata alla Leopolda e il consenso tra i cittadini.

Ma tutti i sondaggi dicono che Renzi oggi non raccoglie più del 4,6% mentre il Pd sale al 20% e Calenda si attesta intorno al 2,8%.

Renzi sicuramente si aspettava di più e aveva solennemente annunciato che la sua uscita dal Pd avrebbe rafforzato il governo perché IV avrebbe attratto molti transfughi dall’area centrale (Forza Italia) rimpolpando così le fila della coalizione. Così non è stato, finora, e nulla lascia presagire che siano all’orizzonte altre emorragie né da Forza Italia né tanto meno dal Pd, visto che alcuni renziani della prima ora sono rimasti nel partito: la risalita nei consensi e la prospettiva di un rilancio al prossimo congresso sembrano un buon collante interno nel Pd, anche se il rientro di Bersani potrebbe creare qualche malumore.

Quando Renzi votò la fiducia al Conte 2 e sbatté la porta del Nazareno molti cominciarono a pensare che potesse costituire una mina vagante per il governo minacciandone stabilità e durata.

In realtà le cose sono andate diversamente. Per ora, Renzi rimanendo al di sotto della soglia psicologica del 5% (che domani potrebbe diventare uno sbarramento elettorale rischioso per IV) non sembra avere tante frecce nella faretra.

Cerca di distinguersi su vari provvedimenti ma sa di non poter tirare troppo la corda. Renzi oggi non ha una strategia alternativa.

Se facesse cadere il governo non potrebbe sostenere un eventuale (ma irrealistico) tentativo di Salvini di dimostrare a Mattarella che in Parlamento c’ è una nuova maggioranza e che tocca a lui guidare il governo. A parte il fatto che Salvini vorrebbe andare subito al voto.

Se ci fossero elezioni anticipate con l’attuale legge elettorale-cosa improbabile – Renzi prenderebbe meno di 30 seggi. Se si andasse a votare con la legge elettorale su cui c’è l’accordo di massima nella maggioranza, con la soglia al 5%  Renzi rischierebbe di doversi accontentare del diritto di tribuna che  l’accordo prevede di concedere a chi non supera la soglia a livello nazionale ma ottiene un quoziente pieno in tre circoscrizioni di almeno due regioni.

In ciascuno di questi scenari Italia Viva non sembra avere grandi prospettive.

Al nuovo partito, nato prematuro, serve un lungo periodo di “incubatrice” per consolidarsi e per non rischiare di rimanere debole.

E questa incubatrice consiste nel sostenere in modo intelligente il Governo. Renzi, quando vuole, è capace di tirar fuori idee originali oltre che fulminanti e vacue polemiche. Ed è questo quello che deve fare: dimostrare di essere non il rompiscatole del Governo ma il suo migliore consigliere, quello che gli dà le idee migliori e vincenti e che è capace di essere leader che aggrega e non divide, attrae e non respinge.

Se si limiterà a sbraitare di qua e di là, non avendo un’alternativa nelle mani, Renzi svilirà il suo ruolo. Per ora la sua Italia Viva non è tanto vegeta.

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