Come sarebbe la vita sulla terra senza le zone umide? Quali ecosistemi si sarebbero sviluppati un’assenza di queste aree? Le risposte sono scontate: Acqua, zone umide e vita sono inseparabili, ma l’uomo nelle sue attività sta producendo un effetto devastante di ciò che permette la vita. Aree che sono le vere alleate contro i cambiamenti climatici perché scrigni di biodiversità e fonti di risorse irrinunciabili per l’uomo, sono sotto attacco tanto che gli allarmi si moltiplicano perché l’impatto dell’inquinamento è oggi diventato insostenibile. Così ogni anno per rilanciare l’attenzione si terrà la “Giornata mondiale dedicata alle Zone Umide” e sarà in Italia il 7 febbraio la giornata clou delle iniziative di conoscenza e tutela di aree che sono zone il più delle volte deturpate con gravi conseguenze per l’eco sistema.
La mobilitazione è stata promossa a livello planetario da numerose associazioni in Italia da Legambiente che celebra così i 50 anni della Convenzione di Ramsar che tutela questi ecosistemi tanto fragili quanto essenziali alla vita. Tante le proposte con azioni chiave per la loro salvaguardia nel decennio 2020-2030 e mobilitando, al contempo, volontari e cittadini tra eventi online, in presenza e attraverso un’azione social per valorizzare le zone umide della torbiere ai sistemi dunali, dalle saline agli acquitrini, le zone umide sono fonte di vita per le numerosissime specie vegetali e animali che da esse dipendono, ma sono strettamente correlate anche alla nostra sopravvivenza. Eppure, i dati del SOER Freshwater 2020 ci dicono che in Europa soltanto il 40% dei corpi idrici superficiali presenta un buono stato ecologico e che le zone umide sono ampiamente degradate, in declino per estensione e qualità a causa di agricoltura intensiva, abbandono delle tradizionali attività agro-pastorali, alterazione degli equilibri idrici, inquinamento, dovuto anche all’uso dei pesticidi, invasione di specie aliene, urbanizzazione e sviluppo d’infrastrutture. Uno scenario che fa il paio con quello mondiale: nell’ultimo secolo, la Terra ha dovuto dire addio al 64% delle sue zone umide.
Fallito, a livello globale, l’obiettivo dell’Agenda sullo Sviluppo Sostenibile che prevedeva la protezione e il restauro degli ecosistemi acquatici entro il 2020. Secondo le liste rosse dell’IUCN, oggi nel mondo un terzo delle specie legate agli ecosistemi acquatici risulta minacciato, mentre sono a rischio scomparsa oltre i tre quarti delle paludi e delle torbiere e quasi la metà dei laghi, dei fiumi e delle coste. Ma in pericolo sono anche il mantenimento e il miglioramento dei servizi ecosistemici che proprio intorno alle zone umide ruotano.
Rifugio per oltre 100 mila specie d’acqua dolce conosciute, le zone umide sono i più efficaci serbatoi di carbonio del Pianeta – le sole torbiere, che coprono il 3% della superficie terrestre, assorbono il 30% del carbonio organico dei suoli – e hanno un ruolo significativo nel contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici: barriere naturali contro gli eventi estremi di origine marina, come le praterie di posidonia; capaci di immagazzinare le piogge in eccesso e mitigare gli impatti delle inondazioni, come le pianure alluvionali; o ancora, in grado di preservare endemismi e peculiarità dei paesaggi montani, come le sorgenti e i laghi d’alta quota. Dalle zone umide deriva, inoltre, il 70% di tutta l’acqua dolce utilizzata per l’irrigazione. Da qui lo slogan 2021 scelto dall’ONU per celebrare i 50 anni della Convenzione di Ramsar e la Giornata mondiale loro dedicata: “Sebbene si continui a sottovalutare il valore della natura, la pandemia che ci ha colpiti dovrebbe stimolare una riflessione globale sull’urgenza di adottare un approccio ecosistemico per mitigare le conseguenze della perdita di biodiversità e della crisi climatica e i rischi derivanti da ecosistemi tanto fragili quanto essenziali per la qualità delle risorse e delle attività produttive a essi legati, dall’agricoltura alla pesca, alla zootecnia”, osserva Antonio Nicoletti, responsabile Aree protette e Biodiversità di Legambiente, “Al netto delle difficoltà, il 2020 segna un momento decisivo per misurare gli impegni dell’Ue, a partire dalla Strategia dell’Europa sulla Biodiversità per il 2030 che rende espliciti gli obiettivi del prossimo decennio e sottolinea l’importanza di mantenere ecosistemi sani e funzionali a garantire l’equilibrio climatico: ogni piano in tal senso deve includere un uso sostenibile e responsabile delle zone umide e degli ecosistemi acquatici”.
Azione politica e ricerca scientifica, ma non solo. “Punto focale, al centro del nostro impegno associativo anche per il decennio 2020-2030”, sottolinea Nicoletti, “sarà la mobilitazione dei cittadini nella cura e nell’adozione diretta di aree umide poco note, considerate minori o non riconosciute con lo status di aree protette. Pensiamo, ad esempio, alle cosiddette ‘marrane’ a Roma, piccole pozze e corsi d’acqua che spesso incrociamo distrattamente, e guardiamo, d’altro canto, alle esperienze costruttive nate proprio nello stesso contesto urbano, come il Parco della Cellulosa: rafforzare la comprensione del ruolo di questi ambienti e promuoverne la gestione virtuosa è fondamentale, specie all’interno delle nostre città dove questi preziosissimi serbatoi di biodiversità e di carbonio possono fare la differenza”.
In coerenza con la Strategia dell’Ue sulla Biodiversità per il 2030, Legambiente individua alcuni obiettivi chiave nella sua azione a favore degli ecosistemi acquatici: realizzare nuove aree protette, fare crescere le piccole zone umide adottate dai cittadini anche negli ambienti urbani e aumentare il numero di quelle riconosciute dalla Convenzione di Ramsar per raggiungere l’obiettivo del 30% di territorio nazionale protetto; rafforzare la tutela della biodiversità acquatica e migliorare la sinergia tra norme nazionali e Direttive comunitarie (Habitat, Uccelli, Acque e Alluvioni); migliorare l’integrazione e la gestione unitaria delle aree protette, i siti della Rete natura 2000 e le Zone Umide riconosciute dalla Convenzione di Ramsar e realizzare una rete di enti gestori di questi ecosistemi; ripristinare gli ecosistemi degradati e realizzare infrastrutture fluviali sostenibili per contribuire a ripristinare almeno 25 mila km di fiumi a scorrimento libero in Europa.
Da dieci anni Legambiente aderisce alla Giornata mondiale delle Zone Umide, istituita per celebrare la firma della Convenzione di Ramsar (1971) che oggi compie 50 anni e comprende una lista di circa 2.200 zone umide d’importanza strategica internazionale, di cui 65 riconosciute in Italia: ogni febbraio il cigno verde organizza attività di citizen science, propone di creare piccole zone umide nelle aree urbane e adotta quelle non adeguatamente tutelate, rendendole fruibili anche ai turisti.
Anche quest’anno, pur dovendo far fronte alle restrizioni imposte dalla pandemia, l’impegno non viene meno: 40 gli appuntamenti in programma, tra escursioni, conferenze e azioni online e offline, con la maggior parte delle iniziative in presenza organizzate fuori dai centri urbani e il coinvolgimento di pochi soci o gruppi da cinque persone, nel rispetto del distanziamento sociale. Chiamati a raccolta circoli, volontari e cittadini cui viene proposto di celebrare la ricorrenza anche con un atto simbolico: un selfie nei pressi di una zona umida con uno dei cartelli creati per l’occasione da Legambiente, da pubblicare il 2 febbraio sui social, rilanciando contestualmente un messaggio legato al proprio territorio. Un modo per moltiplicare le voci a sostegno di questi ambienti che necessitano di maggiore cura e attenzione.