Uno dei dubbi amletici più ricorrenti dall’inizio della pandemia ha riguardato la scuola: scuole aperte o chiuse? Didattica in presenza o a distanza? Su una cosa però si registra un accordo pressoché generale, ed è la convinzione che senza attrezzature tecnologiche, infrastrutture fruibili e competenze adeguate, la didattica a distanza crei diseguaglianze e vada nella direzione opposta rispetto all’esigenza dell’inclusione che rappresenta uno degli obiettivi primari del sistema formativo pubblico. Si tratta di una convinzione abbastanza condivisa basata sulla constatazione di molte diseguaglianze che sono sotto gli occhi di tutti e che meritano, a mio avviso, adeguato approfondimento.
Quella che siamo stati costretti ad usare in una situazione di grave difficoltà non è una didattica a distanza metodologicamente corretta, ma una didattica di emergenza. È questa didattica emergenziale che ha disvelato le tante diseguaglianze della nostra scuola, che non sono però da ritenersi connaturali ad ogni forma di didattica a distanza, come alcuni erroneamente ritengono. Ogni “addetto ai lavori” sa che la garanzia che tutti i partecipanti alle attività didattiche e di apprendimento on line possano operare senza eccessivi gap tecnologici o di competenze costituisce una pre-condizione alla quale la progettazione di un corso a distanza on line deve porre un’attenzione particolare ricorrendo, se necessario, a tutti gli strumenti e interventi compensativi necessari, proprio come avviene, o dovrebbe avvenire, nella didattica in presenza. In altre parole, garantire l’inclusione e ridurre le diseguaglianze sono una necessità sia nella didattica in presenza che in quella a distanza.
La realtà è che quest’ultima non crea le diseguaglianze ma le fa solamente emergere. Per avvalorare questa tesi faccio riferimento ai libri. Come evidenza una nutrita letteratura sociologica, e non da oggi, gli studenti che dispongono nel contesto familiare di molti libri, che hanno genitori con un’alta attitudine alla lettura, hanno un rendimento scolastico migliore rispetto a chi vive a contatto con pochi libri e in una famiglia che dedica poca attenzione alla lettura. È questa una diseguaglianza assai grave, ma lungi da noi l’idea che il possesso di libri e l’attitudine alla lettura producano le diseguaglianze e che il loro uso/non uso abbia come conseguenza una scuola inclusiva/non inclusiva. Tali diseguaglianze, purtroppo, esistono e con esse bisogna fare i conti, assumendo interventi a largo raggio e non possono essere limitati unicamente all’ambiente scolastico.
Sulle diseguaglianze nella dotazione di tecnologie e competenze legate alla rivoluzione digitale si è detto e si continua a dire moltissimo. Nel momento in cui, come nella situazione emergenziale in corso, queste diseguaglianze emergono in maniera evidente, si tende ad attribuirne la responsabilità alle tecnologie digitali e non alla nostra incapacità di garantire a tutti le competenze, le infrastrutture, gli strumenti tecnologici e culturali necessari al loro uso esperto e consapevole. Rivendicare l’importanza dell’accesso ai libri e alle competenze di lettura non vuol dire che tutti i libri sono uguali: si valutano e si scelgono i testi in funzione dei nostri interessi, delle nostre necessità, dell’offerta, della situazione in cui ci si trova. Allo stesso modo riconoscere l’importanza delle tecnologie digitali nella didattica e nell’apprendimento non vuol dire affatto che tali tecnologie siano tutte uguali ed egualmente valide, che una piattaforma valga l’altra, che non ci siano rischi di monopolio, di uso improprio dei dati, di distorsioni o di manipolazioni. Le piattaforme e gli strumenti della didattica on line non sono tutti uguali. Le scelte che le scuole e gli insegnanti sono chiamati a fare sono scelte culturali, non solo tecnologiche, non riguardano solo gli strumenti ma anche i contenuti, le metodologie, le pratiche didattiche e di apprendimento. Scelte sbagliate equivalgono a risultati disastrosi. Un motivo in più per scegliere con attenzione e competenza, spinti non solo dall’emergenza, ma anche e soprattutto dall’idea della scuola che vogliamo, dei suoi strumenti, dei suoi metodi e dei suoi contenuti.
di Giovanbattista Trebisacce, Professore di Pedagogia generale Università degli studi di Catania e Socio AIDR
(Lo_Speciale)