giovedì, 18 Aprile, 2024
Cultura

Il mio gemello digitale… non mi somiglia per niente

Nella sua breve vita finora vissuta l’era digitale è già stata teatro di una serie di stravolgimenti che sono molto più di un’evoluzione normale. 

Il principale cambiamento riguarda il rapporto tra noi e la rete. All’inizio eravamo convinti che la rete fosse al nostro servizio e che, imparando a navigarci, avremmo avuto accesso illimitato e facilitato a informazioni: saremmo diventati i padroni di una conoscenza in espansione senza troppe difficoltà.

Un po’ alla volta ci siamo resi conto che i ruoli stavano cambiando e che non era tanto la rete a dare informazioni a noi quanto eravamo noi a rilasciare tracce della nostra identità alla rete. Tutto questo si è rapidamente evoluto al punto che le informazioni su noi stessi che produciamo e che vengono impacchettate e organizzate automaticamente cominciano ad essere gestite dall’intelligenza artificiale che sta fuori di noi.

In pratica una realtà digitale che riproduce la nostra identità si affianca alla nostra vita e questa realtà comincia ad essere influenzata e potenzialmente controllata da entità esterne a noi.

È uno scenario orwelliano? Di questo scrivono in modo sintetico e brillante due appassionati studiosi di nuove tecnologie, Maria Pia Rossignaud e Derrick de Kerckhove, in questo agilissimo testo, con prefazione si Roberto Saracco “Oltre Orwell – Il Gemello digitale”.

Gli autori non hanno un’impostazione apocalittica. Tutt’altro. Sono animati da grande apertura e passione per ciò che di nuovo e anche sconvolgente sta avvenendo con la trasformazione dell’identità umana in una serie di dati che diventano sempre più accessibili e organizzabili all’esterno di noi. Il nostro gemello digitale basato su database machine learning e intelligenza artificiale potrebbe ampliare enormemente le nostre capacità cognitive. Sicuramente gli assistenti digitali che memorizzano le nostre abitudini possono venirci in soccorso se dimentichiamo qualcosa , siamo sbadati o -peggio-il nostro cervello comincia a perdere colpi. Per la cura della salute disporre di un gemello digitale può essere di grande aiuto perché esso è la riproduzione più fedele di noi stessi messa a disposizione di chi deve avere molti dati su di noi per poterci curare meglio. 

Ma non sono tutte rose e viole. Sebbene, come scrivono gli autori “la creazione di una fedele replica digitale del nostro cervello è ancora lontana dal realizzarsi” la simbiosi tra uomo e macchina comincia già a realizzarsi e potrebbe trasformarsi facilmente in vigilanza e controllo su noi stessi esercitati proprio mediante l’uso del nostro gemello digitale. E qui dalla tecnologia si passa alla politica. Viene citato il caso della città Stato di Singapore, una forma di datacracy e democratura in cui la disponibilità di informazioni e di controlli da parte del Governo consente una sorveglianza e un ordine che prima tranquillizzano i cittadini ma poi invadono la loro vita fino a spingersi alla produzione di regole che sfiorano il ridicolo come quella che vieta di camminare nudi fuori dal bagno in casa propria… Nell’era digitale siamo tutti più trasparenti ma questo impone che ci sia un’etica dell’algoritmo per evitare che divenga il nostro dittatore. E allora che fare? “Costruire noi stessi il nostro gemello digitale, non lasciare che lo facciano altri”. Siamo noi che dobbiamo educarlo per evitare che siano altri a farlo. Questo consigliano gli autori. Non è impresa facile. Ma un primo passo potrebbe consistere nel ritenere il gemello digitale creato non da noi una sorta di sosia imperfetto e commentare, come fa Roberto Benigni nel film Johnny Stecchino “Non mi somiglia per niente”.

Maria Pia Rossignaud – Derrik De Kerckhove: Oltre Orwell – Il gemello digitale – Prefazione di Roberto Saracco – Castelvecchi – Roma 2020.

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