venerdì, 3 Maggio, 2024
Società

Intercettazioni a cavallo di un Cavallo

Il 19 Aprile u,s, deve essere stato un giorno amaro per quelle Procure della Repubblica che – confidando nella novella introdotta dalla Legge Bonafede (2019) – avevano iniziato a moltiplicare a dismisura, negli ultimi quattro anni, i procedimenti penali fondati sull’utilizzazione di intercettazioni effettuate in procedimenti diversi da quelli per i quali era stata ottenuta la relativa autorizzazione ad intercettare qualche malcapitato.

Quel giorno, infatti, la Corte Suprema di Cassazione, a sezioni unite, ha stabilito che  – anche dopo l’approvazione di quella Legge, ormai, fortunatamente, superata dai primi passi della Riforma Nordio   – debba continuare ad applicarsi (almeno per il periodo intercorrente fra il 31 agosto e la data odierna) la regola secondo cui non è possibile utilizzare, in procedimenti penali diversi, gli esiti delle intercettazioni raccolte e riversate in altro, precedente procedimento.

Trattasi di una regola a suo tempo stabilita dalla medesima Corte, sempre sezioni unite, attraverso la   cosiddetta “sentenza Cavallo”: quella, per intenderci , che si riferisce alla decisione delle sezioni unite della Corte di Cassazione, oggetto dell’informazione provvisoria numero 7/2024 appena pubblicata dalla cancelleria di quella stessa Corte.

La disciplina delle intercettazioni e il loro utilizzo in procedimenti diversi, come delineata dall’articolo 270 del Codice di Procedura Penale italiano, è stata d’altronde oggetto di evoluzioni normative e giurisprudenziali anche dopo il 31 agosto 2020: in particolare, la richiamata “riforma Bonafede” aveva creduto di poter stabilire – seppur in evidente violazione nell’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’articolo 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione – che i risultati delle intercettazioni potessero  essere anche utilizzati in procedimenti diversi da quello originale, allorché  fossero ritenute indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali fosse obbligatorio l’arresto in flagranza oppure se esistesse una connessione sostanziale tra i fatti di reato (in conformità alle previsioni dell’art. 12 del Codice di Procedura Penale).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno dunque – qualche giorno addietro – ribadito che non si può procedere all’utilizzo dei risultati di intercettazioni in procedimenti non correlati senza che vi sia un legame sostanziale tra i reati oggetto di indagine e un simile legame deve essere predeterminato e oggettivo: non derivante cioè dalla semplice appartenenza ad un contesto investigativo comune​​.

Ma se è vero che quel che resta della legge Bonafede si dovrebbe poter applicare solo ai reati iscritti dopo il 31 agosto 2020 e prima del 9 ottobre 2023, altrettanto è vero che – in un’interpretazione costituzionalmente orientata  –  sarà ben difficile che la disparità di trattamento attribuibile esclusivamente al lasso di tempo intercorrente fra i suddetti termini possa penalizzare esclusivamente gli imputati che vi ricadano dentro.

Per quanto riguarda i procedimenti iscritti successivamente al 31 agosto 2020, il principio di necessità e proporzionalità resta perciò fondamentale e senza alcuna soluzione di continuità rispetto a quanto previsto prima del maldestro intervento della Legge Bonafede: l’utilizzo delle intercettazioni dovrebbe infatti essere sempre e comunque giustificato dalla gravità del reato e dall’impossibilità di conseguire il risultato investigativo con mezzi meno intrusivi di quelli oggetto di queste mie veloci riflessioni.

Alle quali debbo aggiungere che – almeno da una prima lettura del dispositivo della sentenza in commento –  sembra essere stata pure ribadita la necessità di un’esposizione dettagliata e motivata nel provvedimento del GIP che autorizzi l’utilizzo delle intercettazioni in procedimenti diversi, in modo da garantire la protezione dei diritti fondamentali dell’individuo e il rispetto della  normativa sulla privacy​​.

Quest’ultima sentenza, infatti, stabilisce che il divieto di utilizzare i risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi – come previsto dall’articolo 270 del Codice di Procedura Penale –  non si applichi ai reati che siano connessi (ai sensi dell’articolo 12 dello stesso Codice) a quelli per i quali l’autorizzazione fosse stata inizialmente concessa.

Quindi, anche dopo il 31 agosto 2020, il principio enunciato nella “sentenza Cavallo” rimane non solo valido, ma per di più con una interpretazione aggiornata e anche con ulteriori, specifiche restrizioni: a seconda della connessione dei reati fra loro e della rispettiva gravità.

L’importanza della sentenza in commento, d’altronde, non è importante solamente per quel che statuisce, ma anche perché è indice di una inversione di tendenza, in senso garantista, rispetto alla deriva giustizialista che aveva caratterizzato la giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, nel periodo immediatamente successivo alla caduta della Prima Repubblica.

C’è da sperare allora che, prima o poi, la giustizia italiana venga a somigliare sempre di più a quella della maggioranza degli altri Paesi europei: un cammino lungo e tortuoso, ma che (forse) ha già cominciato a muovere i suoi primi passi.

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