giovedì, 2 Maggio, 2024
Attualità

Ucraina nell’Ue, un cammino che va distinto da quello dei Balcani Occidentali

In questi giorni l’attenzione di tutti è focalizzata sul Consiglio europeo, che è già diventato storico. Giornalisti, esperti e politici dell’UE e dell’Ucraina lo definiscono così. In effetti, c’è un valido motivo per poter essere soddisfatti.

Nonostante la difficile distribuzione delle forze e l’ultimatum di Orban, è avvenuto un miracolo: l’Unione Europea ha deciso di aprire i negoziati per l’adesione dell’Ucraina all’UE.

“Questa è una vittoria. Abbiamo aspettato 120 giorni e 30 anni”, così il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha commentato sul social network X la decisione di concedere all’Ucraina lo status di candidato all’UE. “Ringrazio tutti coloro che hanno lavorato affinché ciò accadesse e tutti coloro che hanno contribuito”, ha scritto Zelenskyy nel suo post, aggiungendo: “Mi congratulo con ogni ucraino in questo giorno…La storia è fatta da coloro che non si stancano mai di lottare per la libertà”.

Giorgia Meloni ha espresso “grande soddisfazione” per i concreti passi avanti nel processo di allargamento di Ucraina, Moldova, Georgia e Bosnia-Erzegovina. “Si tratta di un risultato di rilevante valore per l’Ue e per l’Italia, dopo un negoziato complesso, in cui abbiamo giocato un ruolo di primo piano nel sostenere attivamente sia Paesi del trio orientale sia la Bosnia-Erzegovina e i Paesi dei Balcani occidentali”.

Naturalmente, gli eventi attuali sono un ottimo motivo per celebrare una vittoria diplomatica. Inoltre, si tratta di una vittoria inaspettata, sebbene tutti siano consapevoli – allo stesso tempo – che questo è solo l’inizio del viaggio, e si prospettano difficili negoziati. La resistenza ungherese, che sarebbe un errore pensare si sia improvvisamente dissolta, non solo permane, ma potrebbe diventare ancora più pesante in seguito.

Occorre essere consapevoli, però, che c’è anche un altro problema che potrebbe manifestarsi più avanti. Si tratta proprio degli Stati dei Balcani occidentali, che sono già sulla soglia della casa europea, ma praticamente non fanno alcun passo per entrarvi. O, per dirla con il linguaggio degli euroburocrati: “non dimostrano progressi nell’attuazione delle riforme e nel rispetto dei criteri stabiliti dall’UE”.

L’Ucraina, la Moldova e la Georgia sono entrate a far parte del processo di allargamento europeo solo lo scorso anno. Prima che ciò accadese, la zona di espansione (se non si tiene conto dei negoziati “morti” con la Turchia) si estendeva esclusivamente ai Paesi situati nell’ovest della penisola balcanica. Si tratta di Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord, Serbia, Montenegro che hanno lo status di candidato ed il Kosovo che ha quello di “candidato potenziale”.

La loro storia di avvicinamento all’UE va avanti da oltre 20 anni. Già nell’estate del 2003 tutti gli Stati della regione hanno ottenuto il riconoscimento della prospettiva europea (il primo passo verso l’adesione). Da allora, però, solo un Paese, la Croazia, ci è riuscito e nel 2013 è diventato membro a pieno titolo dell’UE. La cosa più importante è che tutti gli altri, in questi vent’anni, non hanno mostrato i progressi che ci si aspetterebbe da Paesi candidati. Tale circostanza è confermata da uno studio della Commissione europea. Questa valutazione confronta la vicinanza di tutti i Paesi candidati al diritto dell’Unione Europea (in questo ambito l’Ucraina è ovviamente indietro rispetto ai “candidati dei Balcani”). Se, tuttavia, si compara anche la velocità di adozione delle riforme in Ucraina e negli altri Paesi emerge che nei Balcani la situazione è catastrofica.

Sembra che in 20 anni abbiano perso la fiducia nel fatto che un giorno entreranno nell’UE. Per questa ragione, anche con un processo negoziale aperto, hanno smesso di adattare la loro legislazione agli standard europei. Con il passare del tempo, questa tendenza non fa che aumentare.

Prima del vertice del 2023, Kyiv lo ha avvertito in modo particolarmente forte, quando i rappresentanti del governo austriaco hanno lanciato un ultimatum: non avrebbero sostenuto la decisione di avviare i negoziati con l’Ucraina finché altri Stati dell’UE non avrebbero accettato lo stesso passo con il “favorito austriaco” nei Balcani, la Bosnia. L’ultimatum di Vienna rafforza la posizione antiucraina del primo ministro ungherese Orban.

Eppure l’Austria ha insistito fino all’ultimo: il progresso dell’Ucraina nel cammino verso l’UE deve accompagnare il progresso dei Balcani. Il cancelliere Karl Neghammer ha ribadito questo principio anche al vertice. Lo sviluppo di questa tesi da parte degli austriaci e dei politici di alcuni altri Stati della regione li porta a sostenere che sia “ingiusto” che i Paesi dei Balcani rimangano in disparte, mentre Kyiv realizzerà rapidamente la propria ambizione di adesione.

Ci si aspetta un lungo processo negoziale che durerà sicuramente anni.Quindi, anche tra un anno o due, il problema dei Balcani potrebbe diventare molto reale per l’Ucraina.

Non c’è bisogno di parlare della Serbia. Questo Stato ha fatto registrare i maggiori progressi tra i candidati e potrebbe avere concrete opportunità di successo, ma subisce, tutt’ora, una rilevante “influenza russa” e mostra una mentalità “imperiale” in un numero significativo di politici ed elettori. Ciò rappresenta, senza dubbio, un ostacolo rilevante alla sua adesione. Peraltro, secondo alcuni recenti sondaggi, la maggioranza dei serbi non vuole più l’adesione del proprio Paese all’UE.

Il Kosovo, a sua volta, non è ancora riconosciuto da tutti gli Stati dell’UE, per cui è difficile, per i kosovari, immaginare di progredire rispetto all’attuale status di “potenziale candidato”.

La Bosnia-Erzegovina ha problemi con il funzionamento delle istituzioni statali in quanto tali e non è realistico parlare di integrazione europea. Inoltre, una delle componenti del Paese è la Republika Srpska che, sotto la guida di un grande “amico di Putin”, Milorad Dodika – si oppone al cammino verso l’UE.

Anche la situazione della Macedonia del Nord è complicata. Sfortunatamente, questo Stato è stremato dalle rivendicazioni politiche di Grecia e Bulgaria e ha perso il suo appetito per l’integrazione europea. I macedoni dovettero persino cambiare il nome del loro Stato a causa dell’ultimatum dei greci, e ora si trovano di fronte al fatto che i bulgari negano l’esistenza della lingua e della nazione macedone. Pertanto, attualmente non vi è alcun progresso legislativo in quel settore.

Nell’ultimo anno, i progressi maggiori sono stati compiuti dall’Albania, ma ora l’avanzamento degli albanesi verso l’UE viene bloccato dal loro vicino, la Grecia. Ci sono gravi controversie sui diritti della minoranza greca nel sud dell’Albania, con l’arresto di uno dei sindaci filo-greci, quindi è altamente improbabile che gli albanesi possano trasformarsi in paladini dell’integrazione europea.

Infine, c’è il Montenegro che potenzialmente avrebbe le migliori possibilità di fare progressi. Tuttavia, negli ultimi anni si è verificata una crisi politica dopo l’altra, perché gran parte degli elettori (non senza l’influenza russa) preferisce la cosiddetta “misura serba”. Si tratta di una bomba per la stabilità di questo Stato, che può esplodere in qualsiasi momento e non aiuta le riforme. La valutazione della Commissione europea lo conferma chiaramente.

Dobbiamo essere consapevoli che non solo le riforme dell’Ucraina e la velocità della loro attuazione, ma anche la situazione in altri Stati possono costituire una sfida nel cammino verso l’UE. Inoltre, l’Ucraina non potrà influenzare le riforme in Montenegro o i diritti dei greci in Albania. Per questo motivo, andrà svolto un importante lavoro diplomatico per convincere gli Stati membri che, nel momento in cui l’Ucraina sarà pronta per l’adesione, dovrebbe diventare un nuovo membro dell’UE, svincolando il suo destino da quello dei Paesi Balcani.

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