giovedì, 9 Maggio, 2024
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Nel 2022 468 milioni di bambini hanno vissuto in zone di conflitto

Secondo quanto emerge dal rapporto “Stop the war on children”, pubblicato oggi da Save the Children, un bambino su sei (in totale 468 milioni di bambini) nel 2022 viveva in una zona di guerra, mentre il numero di gravi violazioni commesse nei confronti dei bambini in contesti di conflitto è aumentato del 13%, raggiungendo il numero complessivo di 27.638, in media 76 al giorno. Il numero di gravi violazioni nei confronti dei minori (uccisioni e mutilazioni, rapimenti, stupri e violenze sessuali, reclutamento ed utilizzo in forze e gruppi armati, attacchi a scuole e ospedali e diniego di accesso umanitario) ha raggiunto nel 2022 il livello più alto dal 2005, anno in cui sono iniziate le rilevazioni di questo tipo. Numeri che purtroppo rappresentano solo una piccola parte del totale di casi, poiché alcuni abusi non vengono denunciati, mentre altri commessi nel 2022 sono ancora in fase di verifica. In particolare, sono stati 8.647 i bambini uccisi o mutilati, in crescita rispetto agli 8.113 del 2021. Il Paese con il maggior numero di casi di minori uccisi o mutilati, secondo il rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite, è stata l’Ucraina (1.386), mentre già nel 2022 nei Territori palestinesi occupati 1.134 bambini sono stati uccisi o hanno subito mutilazioni, in particolare nella Striscia di Gaza, cifra destinata a salire vertiginosamente nel 2023.

La guerra dei minori

La seconda grave violazione per numero di casi registrati è stata il reclutamento e l’utilizzo dei minori nei conflitti: 7610 gli episodi verificati nel 2022, in crescita del 20% rispetto al 2021. Sempre nel 2022, circa 468 milioni di bambine e bambini – uno su sei – vivevano in zone di conflitto (con un aumento del 2,8% rispetto all’anno precedente). Il continente africano è l’area con il maggior numero assoluto di minori in contesti di guerra, mentre il Medio Oriente, già prima del conflitto in corso a Gaza, registrava la proporzione più elevata, pari a un bambino su tre. In generale, secondo l’analisi elaborata da Save the Children sulla base di diversi indicatori, è la Repubblica Democratica del Congo il Paese peggiore in cui potesse vivere un minore nel 2022 a causa della guerra, seguito dal Mali e dal Myanmar. Ad essi si aggiungono, in ordine alfabetico altri paesi che ricoprono le prime dieci posizioni, quali: Afghanistan, Burkina Faso, Nigeria, Somalia, Siria, Ucraina e Yemen. I bambini continuano inoltre a essere colpiti nei luoghi in cui dovrebbero sentirsi maggiormente al sicuro. Il numero di attacchi a scuole e ospedali è infatti aumentato del 74% in un anno, da 1.323 nel 2021 a 2.308 nel 2022. Questi tragici dati – sottolinea l’Organizzazione – sono destinati a salire nel 2023 a causa dei continui bombardamenti a Gaza e del conflitto in Sudan, che ha causato la più grave crisi di bambini sfollati al mondo. “È un momento terribile per essere un bambino in guerra.

Poca tutela

Le leggi globali che erano state istituite per proteggere i bambini dalle violenze peggiori che potevano essere commesse contro di loro si stanno sgretolando. Le attuali tendenze testimoniano che si sta andando nella direzione sbagliata. Le violazioni contro i bambini aumentano anno dopo anno: nel 2022 si è registrata una media di 76 violazioni contro i bambini al giorno, anche se, a causa di segnalazioni insufficienti, sappiamo che questa è probabilmente solo la punta dell’iceberg”, ha dichiarato Inger Ashing, Direttrice Generale di Save the Children International. “Sebbene i dati si riferiscano al 2022, ci aspettiamo che il 2023 non sia migliore, anzi, potremmo raggiungere nuovi tristi record. La crisi umanitaria in Sudan – la più grave crisi di sfollamento sulla terra per i bambini – ha visto uccisioni, orribili violenze sessuali, torture e mutilazioni di minori a livelli che non si vedevano da tempo. Stiamo assistendo al dramma dei bambini a Gaza, costretti a sopportare il peso di un conflitto in cui oltre un milione di giovani vite sono in pericolo. Gli ospedali sono diventati campi di battaglia e le forniture di cibo e acqua sono state interrotte.

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