venerdì, 19 Aprile, 2024
Economia

In pensione 2.7 milioni di lavoratori ma ne servono un milione in più

Cgia: serviranno nuove figure professionali oggi introvabili

Si complica il rebus del lavoro, della sostenibilità previdenziale e della crisi della manodopera. Le previsioni sono chiare e fanno scattare un ulteriore allarme. “Tra il 2023 e il 2027 il mercato del lavoro italiano”, evidenzia la società di analisi socio economiche, Cgia di Mestre, “richiederà 3,8 milioni di addetti: di cui 2,7 milioni (pari al 71,7 per cento del totale) in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione e più di un milione di nuovi ingressi (il 28,3 per cento del totale) legati alla crescita economica prevista in questo
quinquennio. A legislazione vigente, pertanto, nei prossimi 5 anni quasi il 12 per cento degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età”.

In difficoltà il settore privato

La stima è da brivido perché già ora all’appello mancano un milione di figure professionali per coprire il vuoto di manodopera, soprattutto quella qualificata. L’Ufficio studi della Cgia che ha elaborato i dati
del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal, puntualizza anche i settori maggiormente scoperti di personale dopo il vuoto lasciato da chi andrà in pensione. “Dei 2,7 milioni di addetti totali
che nei prossimi anni scivoleranno verso la quiescenza, la metà, poco meno di 1,4 milioni, interesserà i dipendenti privati e oltre 670 mila ciascuno il pubblico impiego e il mondo del lavoro autonomo”, fa
presente la società Mestrina, “Tuttavia, se calcoliamo l’incidenza della domanda sostitutiva sul totale del fabbisogno occupazionale in ciascuna delle tre posizioni professionali analizzate (dipendenti privati,
dipendenti pubblici e indipendenti), il valore più elevato, pari al 91,6 per cento del totale, riguarderà il pubblico impiego. Se, invece, analizziamo le filiere produttive/economiche più interessate dall’esodo
degli occupati verso la pensione”, prosegue l’Ufficio studi, “in termini assoluti scorgiamo la salute (331.500 addetti), attività immobiliari, noleggio/leasing, vigilanza/investigazione, gli altri servizi pubblici e
privati (pulizia, giardinaggio e pubblica amministrazione che non include la sanità, l’assistenza sociale e l’istruzione) (419.800) e, in particolar modo, il commercio e il turismo (484.500). Se, anche in
questo caso, misuriamo l’incidenza della domanda sostitutiva sul fabbisogno occupazionale, i settori che entro i prossimi 5 anni si troveranno maggiormente in “difficoltà” saranno la moda (91,9 per cento), l’agroalimentare (93,4 per cento) e, in particolar modo, il legno-arredo (93,5 per cento)”.

Il Made in Italy a rischio

I principali settori del made in Italy rischiano di non poter più contare su una quota importante di maestranze di qualità e di elevata esperienza. L’esodo interesserà Basilicata, Liguria, Abruzzo, Piemonte Molise e Veneto. A livello regionale, nel prossimo quinquennio l’incidenza percentuale della domanda sostitutiva sul fabbisogno occupazionale totale interesserà, in particolare, il Veneto (73,4 per cento), il Molise (78,5 per cento), il Piemonte/Valle d’Aosta (82 per cento), l’Abruzzo (82,5 per cento) e la Liguria (85,5 per cento). La
regione d’Italia più investita da questo fenomeno sarà la Basilicata (88,3 per cento).

La fatica di trovare personale

Il progressivo invecchiamento della popolazione italiana sta provocando un grosso problema al mondo produttivo. “Da tempo, ormai, gli imprenditori – anche del Sud – denunciano la difficoltà di trovare sul
mercato del lavoro personale altamente qualificato e/o figure professionali di basso profilo”, ricorda la Cgia, “Se per i primi le difficoltà di reperimento sono strutturali a causa del disallineamento che in alcune aree del Paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, per le seconde, invece, sono opportunità di lavoro che spesso i nostri giovani, peraltro sempre meno numerosi, rifiutano di occupare e solo in parte vengono “coperti” dagli stranieri”.

Domanda e offerta distanti

Una situazione che per molti, ad iniziare dai conti Inps e quelli della produttività legata al Nade in Italy, nei prossimi anni è destinata a peggiorare: “in primo luogo”, conclude la Cgia di Mestre, “per gli effetti della denatalità e in secondo luogo per la cronica difficoltà che abbiamo a incrociare la domanda e l’offerta di lavoro”.

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