mercoledì, 17 Aprile, 2024
Economia

I falchi della Bce sono miopi

Il potere di acquisto delle famiglie ed il costo del credito per le imprese, quindi la ripresa economica, dipendono dal tasso d’inflazione. Gli aumenti del costo del carburante  in Italia, possono a loro volta avere ripercussioni dirette sull’inflazione del nostro Paese, come ha previsto da Gian Carlo BlangiardoGian Carlo Blangiardo, Presidente dell’Istat, in una recente intervista: “Questo aumento prezzi carburanti può rappresentare un grosso problema in prospettiva, se le cose dovessero andare nella direzione di una continua crescita…”. L’inflazione prevista per il 2023 è al 5,1%, una percentuale che può facilmente correre se l’andamento dei prezzi carburanti peggiorerà a danno dei consumatori.

E di fronte a questa possibilità ed all’attuale livello di inflazione (11,6% dicembre 2022) la Banca Centrale Europea ha innalzato dello 0,50 i tassi di riferimento, arrivando al 3% e preannunciando già da ora un ulteriore rialzo dello 0,50 nel prossimo mese di marzo, nonostante – si è detto -: “i rischi per le prospettive d’inflazione e crescita siano diventati più equilibrati.

Analoghe decisioni sono state assunte dalla Banca d’Inghilterra, dove il tasso di inflazione è al 10,5%, che ha aumentato i tassi per la decima volta consecutiva, arrivando al 4% il livello massimo da 14 anni.
Nella stessa conferenza stampa di Christine Lagarde è stato confermato che da marzo finirà la stagione degli acquisti dei titoli di Stato sul mercato ed ogni mese la banca centrale ritirerà dalla circolazione titoli per 15 miliardi di euro.

Precisando i dettagli delle modalità della riduzione dei reinvestimenti nel programma di acquisti del Paa, la Bce adotterà il criterio di proporzionalità utilizzato per gli acquisti. Questo significa che per finanziarsi il Tesoro italiano dovrà rivolgersi al mercato (banche, finanziarie, ecc. ecc.), offrendo rendimenti appetibili, in concorrenza con gli altri Paesi, a partire dalla Germania che ha i conti pubblici in migliori condizioni e quindi potrà spuntare condizioni migliori delle nostre.

In effetti , sostanzialmente ancora una volta hanno prevalso i cosiddetti “falchi di Bruxelles” (sono 16 contro 10 “colombe”), tra cui, l’ultimo arrivato, il governatore della banca centrale della Croazia entrata nell’Eurosistema dal primo gennaio di quest’anno, un “falco dichiarato”, che si è detto subito favorevole a ulteriori rialzi dei tassi insieme alla riduzione dei titoli in portafoglio della Bce, e poi ci sono tra gli altri “arrabbiati” il presidente delle Banche Centrali tedesca, austriaca, olandese e la componente del board, Isabel Schnabel e la stessa Lagarde, che addirittura si è spinta ad indicare agli Stati dell’Unione di promuovere una politica di più rigore: “Le misure di sostegno per proteggere l’economia dall’impatto dei prezzi elevati vanno ricalibrate: è importante iniziare ora a ridurre tempestivamente queste misure in linea con il calo dei prezzi dell’energia e in modo concentrato”, perché gli aiuti “aumenteranno le pressioni inflazionistiche a medio termine, il che richiederebbe una risposta di politica monetaria più energica”.

Per fortuna nel campo avverso c’è il nostro Fabio Panetta, che è la colomba di maggior peso nel Comitato esecutivo e che è convinto che più aumentano i tassi di riferimento della Bce più viene penalizzata la nostra economia. Perché non bisogna essere un economista per sapere che questa politica restrittiva comporterà, da un canto, che sarà più difficile l’accesso al credito, dall’altro, che si assottiglierà la liquidità in circolazione. Si tratta di una politica monetaria di vera e propria austerità di antica memoria, che abbiamo purtroppo già sperimentato sulla nostra pelle. E che ha fatto dire, ironicamente e giustamente, al nostro ministro della Difesa, Guido Crosetto, di fronte alle novità annunciate da madame Lagarde sui tassi, che l’aumento: “E’ proprio un bel regalo di Natale”.

Infatti l’impatto sui nostri concittadini non potrà non essere che penalizzante. I mutui a tasso variabile hanno subito già un aumento assai consistente. Un mutuo, ad esempio, a 30 anni da 200 mila euro partito all’1% ad aprile 2021, che ha pagato una prima rata di 643 euro, il prossimo aprile ne pagherà 1.190, ovvero 547 in più. Già a fine 2022 chi ha contratto un mutuo si è visto aumentare le rate di oltre il 40% a causa dell’innalzamento degli indici Euribor, passati da -0,5% al 2,57% e chi avrebbe voluto acquistare una casa, si è ritrovato a dover ingoiare tassi di mercato fissi superiori al 4%, per evitare l’escalation dei tassi variabili, che hanno già superato il fisso.

L’unica alternativa, perciò, è quella di acquistare un immobile più piccolo, ma per il quale occorrerà anche un reddito più alto. Nello stesso tempo l’offerta di prestiti alle famiglie è diminuita proprio per l’aumento dei tassi di interesse di mercato. Già nel quarto trimestre del 2022 i criteri di concessione di prestiti alle imprese avevano registrato un irrigidimento; ora con l’ulteriore aumento del tasso nei giorni scorsi, le condizioni applicate ai finanziamenti saranno ancora più inasprite mediante l’incremento dei tassi di interesse e le maggiori restrizioni dei criteri per la concessione delle facilitazioni.
Per queste ragioni molti banchieri, economisti ed opinionisti hanno e stanno criticando la politica monetaria della Banca Centrale Europea.
A voler solamente ricordare alcune prese di posizione, in questo inizio anno, contro questa politica di rigore, non ci sarebbe spazio su tutte queste pagine: ha iniziato il presidente dell’Abi, che ha esortato la Bce a ripensarci: “stop a nuovo aumento di tassi a inizio anno”, perché il livello del “prezzo del gas deve essere tenuto in conto: dovrebbe essere rivisto l’intendimento espresso dalla Bce di un ulteriore aumento dei tassi a inizio anno. A mio avviso bisognerebbe ripensarci prima di decidere: con la discesa del prezzo del gas si contrarrà il fattore più decisivo dell’inflazione e quindi bisognerà essere più prudenti nell’aumentare i tassi”. Ad Antonio Patuelli ha fatto eco lo stesso giorno, sullo stesso quotidiano, e nella stessa pagina il Prof.

Giuseppe di Taranto, che prima ha dovuto spiegare di quale tipo sia l’inflazione europea: “L’Eurozona si trova di fronte ad una inflazione da costi e non da domanda come negli Stati Uniti” e poi senza pietà ha accusato: “Non è la prima volta che la Bce sbaglia nella gestione dei tempi e dei modi della politica monetaria”. Anche il Professore, Giulio Sapelli ha cercato di spiegare quali siano le cause vere della nostra inflazione ai vertici della Bce” che cammina sulla testa anziché sui piedi e, pur dinanzi a una crescita del prezzo dei beni fisici fossili-energetici, chiama la crescita dei prezzi che ne deriva inflazione tout court e pensa di combatterla con mezzi monetari anziché contrastare i monopsoni (n.d.a: i monopsoni sono i mercati caratterizzati da un solo acquirente a fronte di una pluralità di venditori) che restringono le quantità offerte. Ma i tassi che s’alzano non sconfiggono i monopsoni e incrinano la sostenibilità delle imprese per l’aumento dei costi di produzione non riversabili sui consumatori. Insomma, un disastro”. Per questo “Il solo rialzo dei tassi della Bce non è in grado di far scendere l’inflazione e rischia di mettere in crisi le imprese e di riflesso anche i consumatori”
Persino tra i banchieri italiani cresce la preoccupazione per l’aumento dei tassi. E’ vero che il rialzo porta maggiori ricavi alle banche, ma se questo andazzo dovesse continuare ad oltranza l’economia dell’Eurozona rischia grosso.

Ma nonostante queste preoccupazioni generalizzate montino sempre più la Lagarde conferma la sua linea dura: “l’inflazione di fondo continua a salire” e noi: “Manterreno la rotta per garantire il ritorno dell’inflazione al nostro obiettivo”..quindi “Ancora aumenti costanti e significativi dei tassi”.
Ed allora il nostro governatore, Ignazio Visco, è costretto a “cazziarla”, chiedendo che “La Bce almeno comunichi meglio, facendo rilevare “che i messaggi sono troppo duri”. “Sono convinto che bisogna migliorare sul piano della comunicazione della Bce”, perché “stiamo dando messaggi troppo duri e spaventiamo anziché accompagnare”… “gli allarmi che a volte vengono sollevati sugli effetti che ulteriori aumenti dei tassi ufficiali potrebbero avere sulla nostra economia non sono condivisibili”.
Il numero  uno di Palazzo Koch, inoltre, ritiene che “se il ritmo e l’entità della normalizzazione della politica monetaria fossero sproporzionati o il loro annuncio male interpretato, l’inasprimento delle condizioni di finanziamento potrebbe risultare più forte del necessario e la reazione di famiglie e imprese eccessiva, con rischi per la stabilità finanziaria e l’attività economica”.

Mai si erano sentite parole cosi dure di un governatore nei confronti dei vertici della Bce.
Il carico da novanta, che gela “i falchi”, poi lo mette, dopo pochi giorni, il membro del comitato esecutivo della Bce, Fabio Panetta, in un’intervista a “Handelsblatt”, avvertendo: “No rialzi automatici dei tassi”… “Era ragionevole aumentare i tassi a dicembre e segnalare un ulteriore analogo intervento a febbraio. Tuttavia, qualsiasi indicazione incondizionata – ossia slegata dall’evoluzione prospettica dell’economia – che vada oltre febbraio si discosterebbe dal nostro approccio basato sui dati. Le nostre decisioni di dicembre si fondavano sulle proiezioni economiche allora disponibili. A marzo ne avremo di nuove e dovremo rivalutare la situazione”.

Quindi calma e gesso…
Il problema è che la Christine Legarde non è all’altezza di Mario Draghi e che è un disastro sul piano della comunicazione: fu sconcertante infatti quando a giugno scorso annunciò che la Bce avrebbe interrotto l’acquisto di titoli pubblici e aumentato il tasso di riferimento. La reazione negativa dei mercati fu immediata.
Il guaio è che ancora oggi pare che la Bce non sia consapevole che siamo di fronte ad una inflazione da costi e non da domanda, come negli Stati Uniti, prodotta dall’aumento del prezzo delle commodity e non certo da un aumento della produttività e dei salari. In questa situazione siamo sicuri che sia giusto alzare i tassi in continuazione e decidere la riduzione del bilancio Bce tramite il Quantitative Tightening di 15 miliardi al mese da marzo fino a giugno 2023?

Probabilmente, in questo momento, il sistema avrebbe più bisogno di liquidità e non di tassi aumentati.
Qualora si dovesse continuare in questo modo si contrasterebbe l’inflazione, ma si rischierebbe di ammazzare la crescita e di portare il paese in recessione.
Ed è proprio questo il problema, riuscire a conciliare sia un rallentamento dell’inflazione che una ripartenza economica.

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