sabato, 20 Aprile, 2024
Società

Quinto: non ammazzare

Il quinto comandamento, scolpito sulle tavole della legge date dal Signore a Mosè sul Monte Sinai, o, se volete, scritte dallo stesso Mosè nella sua infinita saggezza, rendeva sacra e intangibile la vita di ogni uomo.

Il Cristianesimo dei primi secoli lo portò alle estreme conseguenze, arrivando così a rifiutare anche la guerra e lo stesso servizio militare, adducendo tutte quelle ragioni che troviamo nel “De corona” scritto da Tertulliano agli inizi del terzo secolo dopo Cristo.

Oggigiorno le nazioni più evolute lo hanno fatto proprio nel rifiuto della pena di morte; i cattolici col rifiuto dell’aborto, della eutanasia e del suicidio assistito.

Ma questa posizione dei cattolici irrita molti che adducono bizantinismi per contrastarla e non tutte le nazioni hanno abolito la pena di morte.

Occorre allora ribadire che la vita è sacra e uccidere è sempre e comunque un delitto. Occorre ricordarlo a tutti gli uomini, ma in maniera particolare agli uomini di Stato, a tutti i governanti.

Se ci guardiamo un po’ intorno, infatti, vediamo che da molti Stati questa suprema legge che vieta l’omicidio è completamente disattesa, ignorata. Tra essi il machiavellismo regna sovrano. Per dirla con Clemente Rebora “Cristo ha ragione, ma Machiavelli vince”.

Il principio al quale le nazioni ricorrono nell’uso della violenza omicida è quello della cosiddetta “Ragion di Stato”; principio orrendo, perché rende lecito tutto, anche l’assassinio e lo sterminio.

Il grande poeta Ugo Foscolo nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” osservava e denunciava questa realtà metastorica scrivendo: “Le nazioni si divorano, perché una non potrebbe sussistere senza i cadaveri dell’altra”. La realtà politica odierna la conferma.

Quante guerre oggi nel mondo si combattono per appropriarsi di territori ricchi di importanti giacimenti minerari o importanti fonti energetiche!

Dunque fare la guerra, uccidere anche milioni di persone, agli Stati sembrerebbe concesso in ragione della necessità della loro sopravvivenza economica. Se non che gli Stati dispongono tutti di personale diplomatico. Le questioni più spinose non devono allora essere risolte con il ricorso alla violenza o alla guerra, ma devono essere demandate all’azione della diplomazia. Alla Ragione e non alla Forza.

E non si creda che ciò non sia sempre possibile. Si pensi infatti, tanto per fare un esempio, a quanto riuscì a fare il nostro Cavour (per la sua abilità diplomatica soprannominato “il tessitore”)  in età risorgimentale  e ci si renderà conto che il nostro discorso non ha nulla di utopistico.

Ora noi non diciamo che un nemico debba essere lasciato libero di fare ciò che vuole, magari preparare e realizzare attentati o stragi, ma che, per fermarlo, esistono altri mezzi ai quali si può fare ricorso: esistono i servizi segreti che, con la loro efficienza, riescono a prevenire ogni azione terroristica senza ricorrere all’omicidio. Gli 007 con licenza di uccidere devono rimanere nella dimensione della finzione cinematografica, o dei romanzi gialli, frutto di fantasia, ma non possono e non devono entrare nel mondo reale.

Si tratta dunque di buona volontà; di un fatto culturale; di una dimensione intellettuale che tanti uomini di Stato dovrebbero esplicitare.

Ma l’uso della forza è per tanti uomini sicuramente un mezzo più sbrigativo e, soprattutto, meno faticoso.

Ecco allora la necessità di fare certi discorsi, ribadire continuamente i valori fondamentali, mettere ciascuno davanti allo specchio della propria coscienza. E non si creda che questo valore fondamentale della sacralità della vita sia di derivazione esclusivamente religiosa. È di  Giovanni Pascoli, notoriamente affiliato alla Massoneria, massima espressione della laicità, la frase che dice: “Meglio giacere in terra Abele, che stare in piè Caino”.

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