venerdì, 19 Aprile, 2024
Esteri

Dnipro: storie di “vite spezzate” da non dimenticare

La Russia continua a colpire obiettivi civili terrorizzando la popolazione

La Russia, lo scorso 14 gennaio, non ha solo distrutto un edificio, ma ha devastato la vita di intere famiglie, ha cancellato i loro sogni, annullato le loro speranze.

Il bilancio delle vittime di questa strage voluta dai russi è apparso da subito alto, ma è rapidamente cresciuto man mano che i soccorritori proseguivano le ricerche dei dispersi tra le macerie.

Il rischio che si corre quando il numero delle vittime è troppo grande è che si spersonalizzino le storie di chi è stato ucciso, che chi è stato assassinato diventi solo un numero scritto su un foglio di carta. Non è così per chi non c’è più, per i loro cari che sono condannati a convivere con questo dolore dilaniante, non è così per i soccorritori che si sono impegnati al di là di ogni umana resistenza per cercare di strappare alla morte anche solo una vita in più.

Ecco perché, abbiamo deciso di raccontarvi qualcosa in più di queste “vite spezzate”. Raccontare le loro storie aiuterà a mantenere viva la loro memoria e cercare, ancora con più forza giustizia. Perché chi ha ucciso non può rimanere impunito. Ancora una volta non erano militari che eroicamente stavano difendendo il proprio Paese. Il missile russo ha colpito vigliaccamente persone innocenti mentre trascorrevano, nella loro casa, un “normale” sabato pomeriggio. Perché la guerra è anche questo. Ti costringe a convivere con la morte. A cercare normalità anche quando nulla attorno a te è più normale.

Come nel caso di Irina e Maxim che sono stati uccisi dall’esplosione, i loro due figli sono ora ricoverati in ospedale. Una famiglia come tante. Avevano lasciato sei mesi fa Nikopol, bombardata dai russi, e si erano trasferiti a Dnipro. Un luogo che credevano essere più sicuro.

La famiglia viveva in un appartamento all’ottavo piano dell’edificio distrutto. «Oggi si vede facilmente il colore della carta da parati in salotto, perché queste foto si sono diffuse in quasi tutto il mondo». A parlare è la cognata. Dice: “Era in questa casa che viveva la sorella del mio Anton”, aggiungendo: “I loro bambini erano usciti in strada e stavano aspettando i genitori, quando quel dannato missile è volato dritto in casa loro”. Karolina e Timur, questi i nomi dei due piccoli sopravvissuti, sono ora in ospedale. All’inizio il destino dei genitori era sconosciuto. Figuravano nell’elenco dei dispersi, ma in seguito la donna ha ricevuto la terribile notizia. “Ira e Maxim non sono più con noi”, ha detto attonita ai familiari che l’hanno contattata.

Anche la storia di Anastasia Shvets è molto triste. Lei è la ragazza-simbolo di questa tragedia, perché è stata fotografata mentre attendeva i soccorritori seduta sulle rovine del suo appartamento distrutto dal missile russo. Lei è sopravvissuta, ma la tragedia che l’ha colpita resta irreparabile. Il missile ha ucciso i suoi genitori. Un dramma che si somma al dramma. Il suo fidanzato, un militare delle forze armate ucraine, era morto al fronte solo pochi mesi fa.

Mentre attendeva i soccorsi e ancora non sapeva che i suoi genitori fossero morti, a darle coraggio era il pensiero del suo coraggioso Vlad, l’amore della sua vita. Kotik, come amava chiamarlo lei. “Sentivo che mi avrebbe protetto”. Quando Anastasia ha saputo l’amara verità, ha detto a chi cercava inutilmente di darle conforto: “Il mio obiettivo principale era ritrovare i miei genitori. Non mi importava cosa mi sarebbe successo. L’importante era riuscire a salvarli, ma i miei genitori non sono sopravvissuti. Sono stati estratti dalle macerie oggi”, confidando di non avere più parole o emozioni: “Non sento altro che un grande vuoto dentro”.

Ma questa strage non ha risparmiato i bambini. Maria Lebed è una di loro. Anche lei è rimasta uccisa nell’attacco missilistico. Maria amava la danza e studiare l’inglese. La sua vita è stata spezzata a soli 15 anni. Di lei aveva parlato, nel suo discorso serale del 15 gennaio, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Purtroppo, non è l’unica. Mamma Oksana e le sue figlie Leyla e Mikhailina, di 3 e 13 anni, non incontreranno più un nuovo giorno perché i russi hanno colpito la loro casa. Vivevano al quinto piano del grattacielo distrutto. I parenti fino all’ultimo hanno sperato in un miracolo. Così non è stato. La notizia della loro uccisione ha cancellato ogni speranza.

Al momento dell’impatto, anche un’altra famiglia era nell’appartamento. Sette i componenti: Marina Figurnaya e Andrei Osinsky di Odessa, i genitori di Marina, Svetlana e Yuri Figurny, il fratello Alexander Figurny con la moglie Yana e la figlia di 14 anni Anna. Stavano trascorrendo un sabato pomeriggio in famiglia quando il missile ha colpito il grattacielo. I media ucraini, il giorno dopo l’attacco, riferivano che una persona era morta (probabilmente Yury Figurny), sua moglie Svetlana era in ospedale, mentre gli altri cinque figuravano tra i dispersi.

Quando parliamo di queste e delle tante altre vittime ucraine, cominciamo a chiamare le azioni che compiono i russi in Ucraina con il loro nome. L’Assemblea parlamentare della NATO, lo scorso novembre, ha deliberato all’unanimità che la Federazione Russa è uno stato terrorista. Quanto accaduto il 14 gennaio è l’ennesima conferma che questa è l’innegabile verità. È giunto il tempo di dare giustizia a tutte le vittime ucraine della brutale violenza russa. Occorre punire i mandanti così come gli esecutori materiali di queste stragi. Lo dobbiamo a coloro che sono stati uccisi per mano russa.

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