giovedì, 28 Marzo, 2024
Il silenzio delle parole

Dell’Ascolto – 5. Il viaggio

«Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze ….
… non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare».

I profondi versi di Kostantino Kavafis ci dicono del senso di Itaca, dell’inizio di un viaggio, del peregrinare legato a un progetto o a una fuga, degli amori e degli odi, del confine di un mondo che in quanto tale costituisce nelle sue tante forme il limite dell’osare.

Era Itaca, la propria personalissima Itaca a indicare la strada del fuori e del lontano.

E quando il viaggio approda a Itaca, «se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso».

Il ritorno sarà la scoperta del vero senso del viaggio e tu «… ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare».

È il viaggio più bello, quello del ritorno, il viaggio delle riscoperte, degli occhi rivolti alla tua gioventù, a quel pezzo di terra dove le tracce di un’esistenza sono profonde, dove la porta della vita si è aperta amorosa e impertinente, indicandoti mille altre porte, fra sogno e realtà, tutte diverse ai tuoi occhi.

Ma quanti sono i viaggi di una vita, le sue forme e i suoi perché?

È suggestivo che la civiltà occidentale – come aveva già fatto notare Erich Auerbach in Mimesis (1946) – si apra idealmente con due viaggi archetipici: quello laico e guerresco di Ulisse alla ricerca della meta perduta e quello religioso di Abramo e di Mosè alla ricerca della terra promessa.

I viaggi religiosi di Abramo e Mosè, cittadini e stranieri in tutte le patrie, alla ricerca di una terra che non è solo territorio ma luogo dove fondare certezza statuale per il popolo prediletto da Dio, per le sue tradizioni, per la sua spiritualità, per la sua religione.

E quando i primi cristiani decisero di denominarsi «seguaci della via», come attestano gli Atti degli apostoli (9,2; 19,9.23), riferendosi a quell’altra sorprendente autodefinizione di Gesù di Nazareth, Maestro nel Vangelo di Giovanni: egô eími he hodós, «io sono la via» (14,6). Una via difficile, al punto tale che lo stesso Dio di Isaia riconosce che «i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie; anzi, quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre» (55,8-9).

I viaggi guerreschi di Ulisse ed Enea sono storia mitica della civiltà classica prima della nascita della Storiografia, fondata da Erodoto di Alicarnasso (485-425 A.C.) e poi sviluppata dai grandi greci dell’epoca, da Tucidide a Senofonte, fino a Polibio (206-124 A.C.).

Quest’ultimo rapì una mia intera vacanza estiva che dedicai alla lettura delle sue “Storie”, trattazione superba delle prime due Guerre Puniche e della realtà di quella Roma antica. Grande fu per me l’impatto emotivo e narrativo di quel viaggio alle origini del racconto storico, dove le vicende umane più minute, i fatti di costume, gli eventi casuali e quelli grandi più noti, costituirono tutti insieme il tessuto complesso della vicenda umana e della tradizione scritta, che consegnò al futuro gli strumenti di lettura del Mondo. Furono questi Autori a creare il metodo del racconto storico, a portare gli studiosi e le loro scuole fuori dalle generiche esaltazioni celebrative del potere e dalla mera rappresentazione dei miti.

E poi viaggi intellettuali, quelli della ricerca dell’Umanità sul senso stesso dell’esistenza come viaggio e ricerca.

“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” (Dante Alighieri).

Tutto attraverso letture laiche o religiose dell’esistenza, filosofiche o politiche, talvolta proprie, altre metaforiche, talvolta espressione del sogno, altre della realtà.

E nel mare della nostra storia stanno muovendosi navi «sanza nocchiere», senza bussola e Stella Polare, afferma ancora Dante, autore che più di tutti seppe raccontare al Mondo con i suoi versi la condizione umana insieme al viaggio di un popolo e di una nazione in via di declino.

“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”.

Il divin poeta, in compagnia di Virgilio, incontra Sordello. Questi, mantovano, si affretta ad abbracciare il concittadino Virgilio (VI – VII). Come già nell’Inferno e come ancora successivamente nel Paradiso, il sesto canto dedicato al tema politico formando un dittico con il settimo canto, eleva il suo atto d’accusa alla “serva Italia”.

L’Imperatore, Alberto I d’Asburgo, sostiene Dante, non si cura della penisola ma della Germania. Per questa ragione Dante investe la stirpe reale della pena divina ma non risparmia la Chiesa Cattolica, rea di troppe attenzioni alle vicende politiche e di minori cure alla sfera spirituale e religiosa. La stessa Firenze è indicata come esempio italico di corruzione. Da qui il viaggio sui cattivi costumi dell’Italia e delle sue più alte figure istituzionali. Viaggio allegorico e rappresentazione ironica e sarcastica del Mondo della sua Epoca, testo che costituisce una grande eredità culturale, un grande viaggio intellettuale e morale, politico e religioso.

Tanti i viaggi, tanti i grandi autori che si cimentano con il senso profondo del viaggio umano.

Fra questi non dimentico il mio amatissimo Michel de Montaigne.

Fui folgorato durante gli studi liceali dalla sua umiltà intellettuale e dal suo concreto scetticismo, uomo del dubbio, viaggiatore alla ricerca del vero possibile.

Egli nei suoi Saggi afferma: «A chi mi domanda ragione dei miei viaggi, solitamente rispondo che so bene quello che fuggo, ma non quello che cerco». (Testo rivisitato e ridotto, tratto dal libro da Un sogno diverso, dell’autore).

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