venerdì, 29 Marzo, 2024
Politica

Il Pd e la scalata al partito americano

Nell’ottobre del 2007 fu fondato il Partito Democratico.

Ne fui personalmente protagonista in qualità di fondatore, dirigente regionale e membro della Commissione Statuto piemontese. Mi opposi aspramente al modello di partito proposto da Roma, che sin d’allora definii per semplicità “un progetto di partito all’americana”.

Un partito a vocazione maggioritaria, fatto di “primarie” aperte, liberamente scalabile dall’esterno. La premessa di quell’obiettivo era forse da ricercare in un malinteso senso di democraticità innovativa e di apertura alla società.

Passò comunque la linea già decisa a Roma, e nacque così il PD, “il partito americano”, che segnò una frattura con la tradizione repubblicana del partito politico, formazione fondamentale della dialettica democratica e parlamentare.

Anno 2022/23, futuro Congresso PD.

Secondo le regole è appunto legittima la scalata esterna di un’apprezzabile protagonista della vita politica e istituzionale emiliano-romagnola: Elly Schlein, vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, donna di sinistra, persona preparata e dal profilo impeccabile. Unico rilievo da fare a questa candidatura è che si tratta di donna di una certa sinistra, poco o nulla compatibile con il progetto originario del PD, quello di unire in partito tutte le tradizioni dei riformismi democratici nazionali.

Per ironia del destino, si prospetta una disfida con Stefano Bonaccini, Presidente della medesima regione (l’espressione “governatore” nei miei articoli è bandita, ovvie le ragioni costituzionali, banalizzate dalle vulgate berlusconiane successive al ‘94), uomo di formazione emiliana ma grande riformista, assolutamente coerente al progetto di quel partito.

In assoluta sintesi, qual è la questione di cui discutiamo oggi? È che la classe dirigente debba scegliere progetto e regole, prima di aprire le candidature, e che queste ultime dovrebbero essere elaborate magari successivamente, e preferibilmente senza assalti dall’esterno del partito. Tuttavia è doveroso tener conto che lo statuto “americano”, voluto dall’illuminata classe dirigente, lo consente.

E allora cosa succede in concreto? Succede ad esempio che il sottoscritto non è disponibile ad un nuovo progetto di sinistra del PD, perché fedelmente legato al progetto primiero, che prevedeva, come mission fondamentale, l’incontro e l’unione di tutti i riformismi democratici del Paese, missione costituente che il sottoscritto considera decisiva, ancora oggi, per una sana futura dialettica della vita democratica in Italia.

Il dialogo a sinistra del PD sarebbe semmai visitabile successivamente alla celebrazione di un congresso, valutata la sussistenza delle necessarie condizioni, non potendo non tener conto del fatto palese che la Sinistra, dalla caduta del muro di Berlino in poi, non ha mai saputo unirsi intorno ad un progetto. E che da qui son nati i seguenti successi donativi a Silvio Berlusconi, del ’94 e seguenti, fino al 2022 alla Meloni. Risulta peraltro, ad oggi, che la parte più rilevante elettoralmente della Sinistra si posiziona su una deriva opportunistica e populista, quella di Conte e della rivisitata mission del M5S. Sappiamo dell’evoluzione: dai vaffa di Grillo al Di Maio in progress, al Conte 1 di destra, al Conte 2 di sinistra, al Conte leader progressista a difesa dell’Ucraina ma a condizione che non si aiuti militarmente quel Paese per facilitare la trattativa con l’aggressore russo e una politica di pace.

Forse fuori tempo massimo, provi a riflettere il PD: questa idea di voler far tutto e il contrario di tutto è l’errore politico costitutivo e fondamentale, l’errore che sta accompagnando questo partito al disfacimento del suo medesimo trionfalistico partito americano.

Una storia per molti annunciata dall’ottobre 2007.

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