giovedì, 25 Aprile, 2024
Società

Comunità urbane e carceri, quali sinergie?

I Comuni e le Città Metropolitane possono e debbono avere un ruolo determinante sia per la tutela dei diritti delle persone detenute che per la difesa delle comunità urbane. La legge 56/2014 ha indicato chiare finalità istituzionali generali come la cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano, la cura delle relazioni con le città e le aree metropolitane europee, soprattutto per la promozione e la gestione integrata dei servizi e delle infrastrutture, incluse quelle sociosanitarie. A tale proposito il PNRR ha sancito un principio di collaborazione interistituzionale con la creazione di specifici modelli organizzativi per la popolazione generale come le “Case per la Comunità”, le “Centrali Operative Territoriali” e gli “Ospedali di Comunità”.

Percorsi di riconciliazione del condannato con la società che ha danneggiato

Un importante e noto precedente di questa collaborazione è la costituzione di partenariati locali, in tema di droga e sistema penale. In questo ambito le amministrazioni locali hanno sancito collaborazioni tra terzo settore e servizi pubblici, di cui un esempio sono i c.d. “Lavori di Pubblica Utilità” (D.M. 26 marzo 2001). Si tratta di prestazioni non retribuite a favore della collettività con interventi a favore di: portatori di handicap, anziani, protezione civile, tutela del patrimonio pubblico e ambientale, ecc.. Il condannato può, quindi, evitare il carcere e avviare un percorso di riconciliazione con la Società che ha danneggiato, per mezzo di attività che si svolgono presso le regioni, le città metropolitane, i comuni o presso enti e organizzazioni di promozione sociale o di volontariato. Il requisito fondamentale è che questi enti abbiano sottoscritto una convenzione con il locale Tribunale. Quindi, ancora una volta risulta determinante il coinvolgimento di tutti gli attori in gioco, anche se la cooperazione tra enti pubblici e privati non è mai semplice.

Gli enti locali devono tutelare l’interesse generale

In ambito penale e carcerario, gli amministratori locali devono negoziare queste logiche in nome dell’interesse generale che rappresentano, ponendo una particolare attenzione alle fasce più vulnerabili quali i minori e gli stranieri. La normativa attuale prevede anche altri tipi di tavoli operativi: la Conferenza Socio-sanitaria metropolitana, il Patto metropolitano per il contrasto alle disuguaglianze sociali, la costituzione di un Centro studi e ricerche metropolitano per l’inclusione sociale e la promozione della comunità. In ogni caso un ‘NO’ deciso ad ‘osservatori’ o altrimenti denominati (cabine, gruppi, sportelli, agorà) laddove non siano partecipativi o restituenti informazioni ed un ‘SI’ ad Osservatori quali produttori di dati e conoscenza da diffondere.  Ma forse il modello più produttivo in ambito penale e socialmente reintegrativo è rappresentato dal ‘Consiglio di Aiuto Sociale’ per le persone detenute e dal ‘Comitato per l’occupazione degli assistiti’ (artt. 74 e 77, L. 26 luglio 1975, n. 354) di cui si prevedeva la costituzione presso il capoluogo di ciascun circondario giuridico.

Strutture adatte abbassano la recidiva criminale

Queste strutture permetterebbero di creare una rete stabile ed efficace tra istituzioni, società civile, mondo religioso, fornendo sostegno a coloro che “hanno sbagliato” e, in definitiva, abbassando la possibilità di recidiva criminale. Una unica ricerca risalente al 2003 del Gruppo Consiliare Radicale Piemontese ha rilevato che delle 90 risposte ricevute dai relativi tribunali, ben 78 di queste strutture risultavano non costituite, 7 costituite ma non operative, 3 in via di costituzione e solo 2 si definivano operative. La composizione di queste strutture appare essere riccamente costituita: magistrati, rappresentanti regionali e della città metropolitana, Prefettura, ASL, l’ufficio provinciale del lavoro, sindacati e rappresentanze del mondo del lavoro più altri pubblici e privati qualificati nell’assistenza sociale. I componenti di questi organi prestano la loro opera gratuitamente. Forse quest’ultima caratteristica permette di comprendere perché dopo 47 anni dalla sua istituzione, ad oggi, si contano non più di un paio di tali strutture per 164 tribunali italiani.

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