giovedì, 28 Marzo, 2024
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Pochi rischi per i mercati dal debito estero russo

In una nota di sabato S&P Global Ratings ha annunciato il declassamento del debito russo in valuta straniera da “CC/C” A “SD/D”, facendo scattare, di fatto, il default selettivo sul debito estero per Mosca, appena un gradino sopra la “D” di default.

Come riportato da Repubblica, all’agenzia di rating risulta che “lo scorso 4 aprile il governo russo abbia effettuato in rubli i pagamenti di cedole e capitale sugli Eurobond denominati in dollari”. Si tratta della liquidazione in rubli dell’equivalente di 649,2 milioni di dollari, tra 550 milioni di rimborso residuo di un titolo da 2 miliardi e interessi su un’obbligazione con scadenza 2042.

Ad oggi S&P non crede che gli investitori siano in grado di convertire in dollari equivalenti agli importi originariamente dovuti il pagamento effettuato in rubli,  o che venga convertito il pagamento entro il periodo di grazia di 30 giorni, da un lato perché ritiene che le sanzioni contro la Russia possano essere rafforzate nelle prossime settimane, dall’altro per la decisione annunciata lunedì scorso dagli Stati Uniti di impedire alla Russia qualsiasi pagamento da banche americane, in particolare Jp Morgan, istituto sin qui utilizzato per i rimborsi in dollari sui titoli esteri: tale decisione è tesa a costringere la Russia a ricorrere alla riserve domestiche di dollari, foraggiate dalle esportazioni di petrolio e gas, sottraendole così al finanziamento del conflitto in Ucraina.

Per l’Osservatorio della Cattolica “rischi di una crisi diffusa molto bassi”

Come riportato da Repubblica, per l’Osservatorio sui Conti Pubblici italiani dell’Università Cattolica, diretto da Carlo Cottarelli,  “i rischi di una crisi finanziaria diffusa in caso di default russo sono molto bassi”, considerando che il debito pubblico verso l’estero ammonta solamente a circa 100 miliardi di dollari, che salgono a 495 se si tiene in considerazione l’esposizione pubblica e privata, quindi anche le obbligazioni corporate, colpite sia dalle sanzioni che dalla situazione di default tecnico.

Anche secondo la maggior parte degli analisti del settore le conseguenze di un dafault non dovrebbero avere un impatto troppo grave sul sistema finanziario internazionale. Come riportato in un interessante articolo di Marco Sabella sul Corriere della Sera, il sistema bancario occidentale è esposto in maniera limitata, non essendo la Russia un debitore cospicuo sul mercato internazionale dei capitali. Con un rapporto debito/pil del 20%, il debito complessivo in valuta estera che potrebbe andare in default dovrebbe toccare le economie occidentali solo marginalmente.

Mercati: tassi governativi e inflazione rubano la scena al conflitto

Mentre i tassi governativi obbligazionari americani e tedeschi sono ancora saliti, anche se in maniera più contenuta rispetto alle settimane precedenti, sui mercati azionari si è registrata qualche presa di profitto, dopo il forte recupero una volta metabolizzata la “novità” e l’”incertezza” della guerra.

In questo contesto, il focus dei mercati sembra sempre meno sulla guerra, anche se la notizia non sorprendente del taglio del rating sul debito estero russo non ha certo giovato ai mercati. Ma, al netto di nuove notizie negative i mercati sembrano aver ormai metabolizzato la “non novità” del conflitto. In tal senso, un elemento di rassicurazione è stato che non si stanno registrando ulteriori escalation militari.

L’attenzione degli operatori si sta spostando sempre di più dalla guerra ad alcune tematiche già presenti nel contesto prebellico: l’inflazione, la politica di rialzo dei tassi della Fed e la prosecuzione del ciclo economico che saranno scanditi da alcuni eventi  emblematici come l’uscita del dato sull’inflazione statunitense e il prossimo incontro della Fed, il 4 maggio. È probabile che i membri della Fed, che lo scorso marzo avevano alzato i tassi di 25 punti base, annunceranno un rialzo di 50 punti base. Si conferma, perciò, un atteggiamento intransigente da parte dei responsabili della politica monetaria, volto a contrastare l’inflazione e ridurre la liquidità presente nel sistema. Con ben chiari questi passaggi, le asset class azionarie stanno dimostrando una tenuta, perché gli investitori hanno una forte fiducia sulla solidità e sulla prosecuzione del ciclo economico, confermata dalla pubblicazione di dati macro ancora positivi sia per gli USA che per l’Europa.

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