giovedì, 25 Aprile, 2024
Cronache marziane

Ancora su giustizia e mala giustizia

Il lato peggiore  del carattere di Kurt il Marziano è, almeno a mio avviso, quello di voler sempre dimostrare ai suoi interlocutori la propria superiorità rispetto a loro e, poiché anche io sono ormai un suo interlocutore costante, altrettanto costantemente l’Extraterrestre prova a dimostrarmi l’abisso che corre fra il livello di civiltà raggiunto sul suo pianeta e quello – poco più che primitivo – in cui tuttora si dibatte il mio.

E sarà pur vero che i popoli di Marte hanno da tempo superato la guerra come strumento di risoluzione delle controversie fra di loro, così come è vero che nessun Tribunale Penale saprà punire  presto e a sufficienza il responsabile della vergogna che ci infliggono le immagini arrivate in questi ultimi giorni dall’Ucraina;  ma non mi sembra ragionevole utilizzare queste verità per trattare tutti gli abitanti della terra come esseri destinati a piegarsi di fronte al maggior progresso di civiltà raggiunto in altri pianeti del nostro sistema solare.

Scusandomi dunque, con i miei pochi lettori, per averli resi partecipi di questo sfogo, vengo subito a raccontare l’ultimo episodio dello scontro dialettico fra me e Kurt: tutto è nato da una mia battuta sullo scarso potere deterrente delle sanzioni che la Corte internazionale dell’Aja potrebbe irrogare al responsabile del tentato genocidio di questi infausti giorni.

“Perché i tribunali penali italiani funzionano per caso meglio?”, mi ha domandato il Marziano con l’aria di saperla lunga e facendo seguire questa generica domanda da un lungo elenco di episodi disdicevoli per il nostro sistema di giustizia penale.

Prima di rispondergli per le rime, ho provato a rinvenire nella mia memoria fattori quali la scarsità delle risorse o il gran numero di processi in corso di trattazione nei tribunali italiani; però mal me ne incolse quando – nel corso della discussione – il Marziano ha richiamato la disparità di trattamento fra le varie parti del processo quando intervenga un impedimento idoneo a far saltare l’udienza.

I più significativi di quegli episodi ho potuto rintracciarli nelle iniziative giudiziali tendenti a colpire sempre le esigenze difensive degli avvocati e mai quelle dei giudici o dei pubblici ministeri.

Due sono gli ultimi episodi riportati dalla stampa nazionale (v. “Il Dubbio” del 2 aprile u.s., pag. 12) Che mi hanno costretto ad arrendermi di fronte ai ferrei argomenti di Kurt: il primo riguarda l’indagine aperta a carico di un avvocato che si era permesso di chiedere il rinvio di un’udienza in quanto malato e il secondo riguarda invece la richiesta ai carabinieri di verificare se effettivamente la madre di altro avvocato fosse effettivamente deceduta e  – se sì – ove lo fosse  fino al punto da imporre al figlio di domandare anche lui un rinvio dell’udienza per presenziare al funerale.

L’articolo appena richiamato ricorda d’altronde come attorno alle ragioni di impedimento dei difensori sussista ormai quella che il suo Autore –  notissimo avvocato penalista – chiama “Una diffusa presunzione di falsità, o almeno di insidiosa pretestuosità”, degradando il difensore stesso alla stregua di un qualunque ”sabotatore del processo”, Mentre tale non sarebbe il giudice colto da un impedimento in base al quale possa decidere – senza domandare permesso ad alcuno – di rinviare uno o più processi penali.

A sostegno di queste corrette ma poco condivise affermazioni, Giandomenico Caiazza (Questo è il nome dell’autore) cita una recente indagine dell’Eurispes – condotta su dati statistici difficilmente contestabili come tali – dai quali risulta che, nel nostro Paese, la lentezza dei processi conseguente ad impedimenti non è ascrivibile agli avvocati quanto piuttosto ai giudici: i rinvii dovuti ad “assenza del giudice titolare” ovvero a “precarietà del collegio” sono infatti pari al 3,6 percento dei casi, mentre quelli imputabili ad impedimenti del difensore raggiungono appena il 2,1% dei casi esaminati dai ricercatori dell’Istituto.

La freddezza di questi numeri nasconde poi un’aggravante: quella per cui, mentre l’assenza di giudici e pm fermano il decorso dei termini di prescrizione, non altrettanto avviene per quelli ascrivibili agli avvocati.

A chi volesse domandarsi la ragione di una tale disparità, l’Autore suggerisce di leggere l’articolo 159 del codice penale (novellato fin dal 2005) che prevede – fra le cause di sospensione della prescrizione – le sole “ragioni di impedimento delle parti e dei difensori”, ma non anche quelle dei giudici.

Questo poco conosciuto aspetto della nostra giustizia è ulteriormente aggravato dall’atteggiamento della Corte di Cassazione, intervenuta in materia per cancellare la regola vigente in ogni altro Paese civile, secondo cui occorre ripetere dall’inizio la fase dibattimentale del processo tutte le volte che il giudice venga sostituito prima della  conclusione di quella fase.

Se – infine – si vanno ad analizzare le ragioni per le quali il mutamento del giudice avviene, si vedrà che nella maggior parte dei casi la sua sostituzione non avviene per ragioni di salute o di eventi luttuosi, quanto piuttosto perché costui ha ottenuto una promozione in conseguenza della quale egli non vuole (o non può) attendere la fine del processo originariamente affidatogli.

Così stando le cose, sono assalito dal sospetto che Kurt possa aver ragione  – almeno quando si parla di giustizia – nel manifestare la propria superiorità rispetto a un qualunque abitante della terra e in particolare dell’Italia.

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