giovedì, 25 Aprile, 2024
Il silenzio delle parole

La via sbagliata del “femminismo”

“A voler ignorare sistematicamente la violenza ed il potere delle donne, a proclamarle sempre oppresse e quindi innocenti, si dipinge una umanità divisa in due che non corrisponde alla verità. Da un lato le vittime dell’oppressione maschile, dall’altro i carnefici onnipotenti”. È Élisabeth Badinter che scrive, scrittrice e filosofa francese, sostenitrice di un “femminismo universalista” alla Simone de Beauvoir,  maturato all’interno di un lungo scontro negli ambienti del femminismo internazionale.

Nel suo saggio Fausse route: Réflexions sur 30 années de féminisme (“La via sbagliata”, pubblicato nel 2003) la Badinter rifiuta il differenzialismo fra i sessi, considerato un attacco all’uguaglianza di genere, critica la misandria contemporanea, aderisce alla cosiddetta teoria della «rassomiglianza» fra i generi, sostenendo che la vocazione del femminismo non dovrebbe essere quella di condurre una guerra di genere contro gli uomini, al fine di stabilire una superiorità intellettuale e morale del sesso femminile.

Quante donne nella storia del mondo sono state complici interessate di questa condizione? E quante donne da secoli e ancor oggi sostengono quelle istituzioni religiose che respingono la donna da ogni ruolo istituzionalmente rilevante dietro mal celate ipocrisie: protezioni a dir poco improprie; celebrazioni di forme di santità; sospetto riconoscimento di centralità a prescindere nelle vicende umane.

Condivido i due punti di sostanza di questa analisi: l’assenza di parità fra donne e uomini è l’esito di un processo della storia umana, di una storia violenta fondata sulla guerra e sul dominio; un futuro mondo di pace può nascere soltanto da un ruolo forte ed equilibrato della donna nella società, da una complicità, da un patto e da una condivisione di valori fra i sessi.

La condizione sociale della donna è dunque condizione del genere umano, non dissimile dallo schiavismo e dal razzismo, e la guerra di genere è un errore di prospettiva storica che somma violenza a violenza e ritarda la prospettiva di un mondo più giusto e pacificato.

Le quote rosa, ormai battaglia storica del femminismo, criticate dalla Badinter, sono a mio parere una necessità realistica e gradualista della battaglia più generale, ma la parità fra i sessi non si gioca nella lotta di contrasto al ruolo sociale del maschio scellerato, egemone e dominatore, bensì su terreni più concreti e strategici: cultura, lavoro, ausili alla maternità, difesa pubblica, insomma su strategie di trasformazione strutturale della società.

Nella più autentica dialettica dell’emancipazione femminile il maschio è soltanto l’altra faccia del fenomeno sociale, sconfitto predestinato e soggetto casuale di un processo storico. Ne parlavo tempo fa in un mio articolo pubblicato su queste pagine in materia di femminicidi: “Il tema non è soltanto, né prevalentemente, la crisi del maschio, la crisi cioè del ruolo maschile dentro una società che dagli anni ’70 ha riconosciuto alla donna un tendenziale processo emancipativo. Il tema centrale è un altro: lo Stato e la politica non hanno saputo accompagnare adeguatamente la nuova forza femminile nella società e nei suoi costumi. Una maggior difesa dalla violenza non è sufficiente se non si garantisce alla donna nella società un’autentica parità, nell’accesso ai posti di lavoro, nelle retribuzioni, nei servizi sociali a sostegno della famiglia, della maternità, dell’assistenza ai minori.

Paradossalmente, rafforzare la donna e la famiglia nelle dinamiche sociali non rafforza soltanto il ruolo della donna nella società ma mette anche a riparo le difficoltà dell’uomo, disinnesca gran parte delle difficoltà e delle tensioni, nelle unioni sentimentali e matrimoniali. … Affrontato il problema criminale … il fenomeno sociale diventa … centrale e rilevante, e va affrontato e sostenuto cogliendo gli elementi patologici che sono intervenuti in questi cinquant’anni nella visione del mondo della parte perdente, di un maschio che è passato non infrequentemente da un dominio assoluto sulla famiglia e sulla donna ad una posizione di disagio e di soggezione psicologica e civile”.

La parità è dunque tale ed è vincente se è il risultato di un processo democratico generale, di una nuova autentica giustizia sociale, nelle strutture, nei costumi, nel diritto.

La liberazione della donna, in tale direzione, è liberazione dell’uomo.

Interessante la rilettura di Élisabeth Badinter nel rintracciare sul tema dell’“emancipazione femminile” adeguate posture intellettuali e morali, parole e pensieri utili.

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