venerdì, 29 Marzo, 2024
Cronache marziane

Ancora sul Partito che non c’è

Oggi Kurt il marziano scompare – ma solo temporaneamente – da questa rubrica, perché ha ritenuto che la peculiarità delle vicende elettorali italiane abbia raggiunto dimensioni di irrazionalità tali da fargli perdere ogni interesse per approfondire la questione.

Purtroppo però, io non posso dire la stessa cosa: anzi è proprio a questa irrazionalità – che sconfina facilmente nell’irragionevolezza – e sulle sue conseguenze che voglio dedicare qualche riflessione, anche con riferimento alle conseguenze che le distorsioni della legge elettorale vigente (la quale, non dimentichiamolo, ha già subito le censure della nostra Corte Costituzionale e rispetto alla cui compatibilità con il diritto eurounitario pendono anche diversi ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: sia per violazione dell’art. 10, che per incompatibilità con l’art. 3, dell’annesso Protocollo n.1, secondo cui le “libere elezioni” dovrebbero essere organizzate in modo tale “da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo”) stanno comportando non solo in favore di una progressiva disaffezione degli elettori verso il voto, ma anche per la sua ricaduta sull’efficacia dei lavori parlamentari, ove deputati e senatori tentano di accreditarsi, di fronte ai propri mandanti, come liberi dai diktat che ricevono, con sempre maggior frequenza, dai rispettivi Capigruppo.

A questa situazione – già di per sé abbastanza paradossale – si aggiunge il progressivo affermarsi di una Costituzione materiale ove il rapporto di fiducia fra Parlamento e Governo tende ad invertirsi in favore del secondo rispetto al primo: il che spiega come gli ultimi Governi della Legislatura attuale abbiano così spesso abusato nel domandare la fiducia, ben sapendo che, ricevendo un voto contrario, non il Governo ma il Parlamento stesso avrebbe visto i propri componenti tornare a casa, magari per sempre.

Qualcuno potrebbe a questo punto osservare come le questioni sollevate dall’avanzata del partito degli astensionisti non affliggano solo l’Italia ma tutti i Paesi a democrazia avanzata, tant’è che potrebbero aver ragione coloro che affermano che, se il “garantire elezioni libere spetta ai legislatori… (omissis)… l’assicurare che queste siano anche eque e algebricamente corrette è compito dei matematici, che da sempre provano ad elaborare operazioni capaci di combinare le regole dell’aritmetica con le esigenze della politica“ (v. Ian Stuart, When votes count, in “New Scientist”, maggio 2010, p. 28).

In esito di un simile approccio – che ha scomodato addirittura la teoria dei giochi (quella che si esprime attraverso operazioni matematiche mediante le quali ci si avvicina progressivamente all’equilibrio ottimale dei fattori in conflitto) – gli studiosi hanno elaborato le seguenti conclusioni:

  1. più un sistema elettorale è semplice, maggiore è la possibilità di eleggere un Parlamento che rappresenti nella giusta proporzione tutti i cittadini
  2. almeno sotto questo profilo, sembra preferibile il ricorso a sistemi maggioritari; quelli che assegnano la vittoria ai candidati che raggiungono il più alto numero di preferenze;
  3. ogni divisione del territorio in collegi elettorali presenta rischi praticamente ineliminabili, visto che – se un candidato sia in lieve vantaggio nella maggioranza dei collegi, ma altrettanto indietro nei rimanenti, egli potrebbe vincere anche senza totalizzare il maggior numero di preferenze. Valga, per tutti, il caso delle penultime elezioni presidenziali negli USA, ove Donald Trump sconfisse Hillary Clinton pur avendo ottenuto circa un milione e mezzo di voti meno di Quest’ultima;
  4. nei sistemi proporzionali invece, ogni partito ottiene un numero di seggi direttamente calcolato sul numero di voti raccolti alle urne; così chi ottiene il 20% dei voti si aggiudica identica percentuale di seggi e via di seguito: un metodo efficiente dal punto di vista matematico solo ove le elezioni si svolgano in un unico collegio, grande quanto l’intera nazione (come avviene in Israele), ma postula l’esistenza di Stati di piccole dimensioni;
  5. altri sistemi elettorali prevedono infine che l’elezione avvenga attraverso l’indicazione di una o più preferenze, oppure che venga espresso un ordine di preferenza tra tutti i nomi presenti sulla scheda.

Come si vede, ognuno di questi modelli reca al contempo sia vantaggi che controindicazioni, per cui un sistema elettorale matematicamente corretto e politicamente sostenibile non sembra neanche ipotizzabile, come dimostrò negli anni 60 il matematico americano Kenneth Arrow, in base ai cui calcoli il voto di ciascun elettore può sempre modificare l’esito di ogni consultazione.

Possiamo perciò concludere, affermando che la stabilità di ciascun sistema elettorale è inversamente proporzionale alla sua equità, perché è la stessa matematica a dimostrarci che la democrazia non è mai riducibile ad una semplice equazione.

È certo però che il sistema attualmente vigente in Italia può essere giudicato fra i peggiori obiettivamente possibili, visto che sta avendo come prima conseguenza la sempre maggiore crescita del Partito che non c’è.

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