venerdì, 22 Novembre, 2024
Attualità

“Lezioni della pandemia: le sfide globali non si vincono da soli”

Luca Maestripieri, Direttore dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, traccia un bilancio dei primi sette anni di vita dell’ente.

Nel 2014 il Parlamento italiano, con una legge di riforma sulla cooperazione internazionale, istituisce un nuovo ente, l’AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo), specificamente dedicato al perseguimento di obiettivi di cooperazione nel mondo. Abbiamo voluto fare il punto sulle iniziative intraprese, in Italia e nel mondo, insieme al suo direttore, Luca Maestripieri.

In che modo si è evoluto il concetto di cooperazione in questi anni di grandi cambiamenti globali?
Oggi non esiste più solo un approccio assistenzialista, di aiuto da parte dei paesi più ricchi ai paesi più poveri. Ora affrontiamo sfide globali, come quella dello sviluppo sostenibile, che non possiamo vincere se non collaboriamo tutti insieme, aiutando anche i paesi più arretrati a raggiungere gli stessi obiettivi.

Perché in Italia si sente parlare poco di Africa, di nostri interventi diretti verso il continente più fragile per antonomasia?
Nella tradizione europea, l’Africa viene da sempre considerato un paese svantaggiato, solo da assistere, ma poco appetibile dal punto di vista degli investimenti o della promozione del made in Italy. Ma questo è sbagliato, in alcune aree del continente africano esistono tassi di sviluppo molto promettenti.

Ha accennato prima al tema dello sviluppo sostenibile, quali sono le priorità dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite?
Ho potuto seguire l’evoluzione dei negoziati sugli obiettivi da fissare nell’Agenda e riconosco che ne sono susciti di molto ambiziosi, soprattutto per quanto riguarda il tema dello sviluppo sostenibile in ‘partenariato’, non solo tra nazioni ma anche tra singoli individui, associazioni, enti, organismi internazionali che perseguano medesime finalità. L’evidenza ci dice che uno sviluppo incontrollato produce situazioni che difficilmente hanno a che vedere con lo sviluppo stesso, perché possono generare storture al sistema internazionale, ma tutti devono essere coinvolti.

Durante la preparazione dell’Agenda naturalmente non è stata prevista la pandemia, in che modo sta incidendo sui vostri crono-programmi?
Sicuramente ci ha molto rallentato nelle azioni a livello internazionale, ma ci ha anche aiutato a riflettere, a raggiungere la consapevolezza che le sfide globali non si possono affrontare e vincere da soli, ma solo rafforzando gli strumenti di coesione e collaborazione. Riusciremo, ad esempio, a superare la crisi economica generata dalla pandemia solo quando saranno riaperte le frontiere, si ricomincerà a viaggiare liberamente e a far tornare il turismo nel nostro Paese. Ma questo sarà reso possibile solo se si raggiungeranno le medesime condizioni globali nel contrasto al fenomeno pandemico.

In quali paesi siamo presenti in forma prioritaria?
In questo momento operiamo in 22 paesi, di cui la metà nel continente africano, ma anche in Medio Oriente, in Palestina, Libano, Giordania, Iraq; nella penisola balcanica, in Albania; in Afghanistan, Pakistan, Myanmar, compatibilmente con gli attuali disordini civili, e per quanto riguarda l’America Latina, a Cuba e in El Salvador.

Cosa fa l’AICS per quanto riguarda il tema delle migrazioni clandestine?
Questa è una questione molto sentita da noi. Ci siamo concentrati soprattutto su azioni che tendessero a prevenire il fenomeno. Non solo, quindi, interveniamo con i fondi di emergenza per alleviare le sorti dei rifugiati rinchiusi nei campi di raccolta lungo le rotte migratorie, ma anche creando i presupposti in loco per migliorare le condizioni di lavoro delle donne e dei minori, sviluppare attività economiche favorevoli e coinvolgendo direttamente le comunità delle diaspore, le associazioni di migranti che sono venuti a lavorare in Italia e che possono mettere in comune la loro esperienza e il know how acquisito.

Mi può fare un esempio concreto di un progetto riuscito in questo senso?
Il Senegal, in cui stiamo collaborando allo sviluppo di piccole e medie imprese per promuovere forme di occupazione giovanile proprio attraverso il coinvolgimento delle comunità delle diaspore, molto numerose da noi e il Ministero locale.

Per quanto riguarda la condizione della donna, l’uguaglianza di genere è un obiettivo pensabile nei Paesi in cui intervenite?
Questo è uno di quei temi che noi chiamiamo “trasversali”, perché non solo cerchiamo di promuovere progetti specifici per la parità, ma cerchiamo di garantire la presenza all’interno di ogni iniziativa progettuale di una componente di genere e a stimolare la partecipazione delle donne.

Per quale particolarità le piacerebbe fosse ricordata la sua direzione?
Nell’assumere questo incarico ho lasciato la carriera diplomatica perché la cooperazione contiene un alto tasso di idealità che mi appassiona moltissimo. Ho visto nascere questa agenzia, che è ancora una neonata che muove i primi passi. Mi piacerebbe partecipare alla sua trasformazione in struttura consolidata e con una alta presenza di giovani.

 

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