Un sipario che è sceso sugli esercizi commerciali che operano nei piccoli Comuni, un danno non solo per le imprese ma per tutte le comunità. A sottolineare questa crisi è la Confesercenti in una nota dove con cifre e considerazioni mette in mostra una realtà che segna la desertificazione di molte comunità e di territori.
“Circa 4,5 milioni di italiani vivono in comuni dove è scomparso almeno uno dei negozi alimentari essenziali”, sottolinea e calcola la Confederazione. “sono 598 i comuni oggi privi di panificio, 576 quelli senza negozi di frutta e verdura, 650 senza macelleria e 232 senza punti vendita di latte e derivati. Un’avanzata della desertificazione che ha un impatto significativo sulla qualità della vita dei residenti nelle aree interne, nei borghi e nei piccoli centri”. È quanto evidenzia “Alimentare il territorio”, lo studio nazionale di Fiesa Confesercenti presentato in occasione della assemblea annuale 2025 della associazione che riunisce gli specialisti alimentari della Confesercenti
I numeri della crisi
La riduzione delle attività colpisce entrambe le componenti della distribuzione alimentare di prossimità. La distribuzione tradizionale – panifici, ortofrutta, macellerie, pescherie, negozi specializzati – è passata da 123.095 a 115.968 attività tra 2019 e 2024: 7.127 negozi in meno e circa 12.000 addetti persi. Il calo è più marcato nei comuni sotto i 5.000 abitanti (–7,8%) e nelle grandi città (–7,1%).
Nonostante la contrazione numerica, i minimarket e i supermercati indipendenti mostrano una capacità di resistenza superiore a quella della rete tradizionale: i punti vendita diminuiscono, ma l’occupazione tiene. Il personale scende solo del 5%, contro un calo del 13,9% delle superfici.
La corsa dell’inflazione
A pesare anche la corsa dei prezzi. L’Italia ha registrato un’inflazione alimentare più bassa della media europea (+24,7% contro +32,1% nell’UE tra 2019 e 2023), ma l’effetto sulle famiglie è stato comunque pesante: –10% nei volumi acquistati. Si paga di più (il 14%) per comprare meno.
Le proposte da realizzare
Per invertire il processo, Fiesa Confesercenti individua tre linee di intervento. In primo luogo, garantire l’accesso alimentare nei territori fragili, rafforzando i Distretti del Commercio e riconoscendo i negozi essenziali come infrastruttura territoriale. Serve però anche stabilizzare i margini delle microimprese della prossimità, riducendo i costi fissi – a partire dal costo del lavoro – e attivando strumenti compensativi selettivi. Necessario poi legare commercio e coesione territoriale, perché dove resta il negozio resta la possibilità stessa di vivere.
I distretti del commercio
“I dati mostrano che non è solo un problema del segmento commerciale, ma di accesso quotidiano ai beni alimentari nei territori”, spiega Daniele Erasmi, Presidente nazionale di FIESA Confesercenti. “Dove un negozio chiude non arretra il mercato: arretra la vita economica di una comunità. Allo stesso tempo, lo studio evidenzia la tenuta dei minimarket e dei supermercati indipendenti, che pur con meno punti vendita continuano a mantenere lavoro, servizio e presidio: sono imprese che resistono perché hanno radicamento, conoscenza del territorio e domanda fedele. È su queste realtà che va costruita la risposta. Servono politiche selettive, non contributi generici: rafforzare i Distretti del Commercio e sostenere chi tiene aperto significa investire in ciò che ancora genera valore e coesione economica. Difendere la prossimità non è una misura di tutela, è una strategia di sviluppo. Non chiediamo”, conclude Daniele Erasmi, “assistenza: chiediamo che venga riconosciuto il valore economico e civico di chi resta sui territori e continua a creare occupazione”.



