Le ultime elezioni hanno segnato una divisione politica e geografica del mosaico costituito dai Lander tedeschi. In tutti gli stati della ex DDR , AFD (Alleanza per la Germania) è il primo partito e il secondo in termini nazionali dopo la CDU. Questa frattura non è solo politica e geografica, ma anche sociale. In questa sede è sufficiente ricordare che il territorio costituito dalla ex DDR , che è stato annesso dalla Germania ovest (parlare di riunificazione è una terminologia “politically correct”, ma non è la realtà), è l’unico dei Paesi ex Patto di Varsavia che vive con una certa nostalgia la fine di quel mondo e questo è evidente se si guarda ai loro intellettuali (ovviamente non tutti) e almeno stando ai sondaggi fatti negli anni 2016 -2018, che hanno evidenziato che solo il 20% dei giovani si era dichiarato soddisfatto della riunificazione. Inoltre l’occupazione dei livelli del governo federale e delle università sono solo in minima parte presiedute da personale proveniente dalla ex Germania Orientale (stime, che però potrebbero aver subito qualche variazione rispetto a tre/quattro anni fa, quotavano la rappresentanza orientale nelle istituzioni al 2%).
Il peso della crisi industriale
Dunque descrivere l’ ascesa della AFD alla generale ascesa delle destre in Europa è un’ interpretazione superficiale. La AFD rappresenta il tentativo di modificare gli assetti di potere interni alla Germania e che sostiene la necessità di tornare a guardare ad est e di fare della Russia il contrappeso alla presa americana. A creare la tempesta perfetta è stata la crisi industriale, dovuta in primis alle sanzioni che hanno interrotto le forniture dalla Russia a prezzi competitivi (oggi il prezzo è quintuplicato) e il ridimensionamento nel mercato cinese, voluto da Washington, che ha colpito i Lander più produttivi , in primis la Baviera e rischia di saldare le istanze della AFD appunto a quelle bavaresi. Una saldatura per un cambio di potere che ha visto sino ad oggi, con il favore degli USA ,l’area westfaliana – renana alla guida del Paese. Vale pena ricordare che lo Stato della Baviera ha una sua Costituzione nella quale “delega temporaneamente” alcuni poteri allo Stato Federale. Anche politicamente la baviera mantiene una sua forte autonomia politica ed infatti se la CDU è presente in tutta la Germania, in Baviera ci sono i loro cugini la CSU (Unione Cristiano Democratica)
Social democrazie in difficoltà
Se è vero che questi due partiti gemelli si sono sempre presentati insieme ( “Union” o Partiti dell’Unione-in tedesco Unionsparteien) è anche vero che i rappresentanti bavaresi dovranno ottenere concessioni importanti per dare risposte a questa crisi. La coalizione social democratica (interessante anche che istanze simili a quelle della AFD, con le ovvie differenze ,compaiano nei nuovi partiti di sinistra) non è apparsa in grado di dare risposte soddisfacenti e i tedeschi che pure fanno degli interessi securitari un dogma internazionale nel senso che sono cresciuti nella convinzione che interessi di questo tipo non possano essere esclusivamente nazionali, tuttavia non danno più per scontata questa dimensione ed è già in atto una rivoluzione semantica che non si era mai vista.
Esercito da ricostruire
A Berlino non vi è occasione in cui il Ministro della Difesa non ricordi la necessità di ricostruire la Bundeswehr che durante la guerra fredda era un formidabile esercito con 500.000 effettivi, ma che oggi ne conta poco meno di 200.000 e soprattutto manca di tutto (famoso l’episodio di una esercitazione della NATO a cui i tedeschi parteciparono con dei fucili di legno), senza contare che ciò che avevano lo hanno dato all’Ucraina. In tal senso va letto lo stanziamento dei primi 100 miliardi, solo in questo anno, per la ricostruzione delle forze armate. La guerra torna come possibilità concreta e costituisce il brusco ritorno alla storia di un popolo che pensava fosse finita e che aveva fatto dell’ “esporto dunque sono” il mantra del suo essere, con la solita eccezione della ex DDR la quale non hai mai dismesso la tradizione militare tedesca e i suoi intellettuali parlano apertamente di ricostituire la “casta militare”, una casta militare che in Germania, fino alla sconfitta nel secondo conflitto mondiale significava appartenere alla elitè della società e così influente da incidere pesantemente persino sulle decisioni politiche.
La flessione dell’economia
In questo quadro si inserisce la crisi economica. Nel mese di settembre, dove normalmente si registra un aumento dovuto al rimbalzo dalla pausa estiva, il calo della produzione industriale su base mensile registra un – 2.5% con un peggioramento sensibile delle attese che erano dell’1% . Per non parlare degli indicatori su base annua che si attestano a -4.6% contro un atteso – 3%. La tentazione di incolpare Bruxelles è un’ipotesi più che concreta e ciò anche in considerazione di una serie di smacchi in sede comunitaria. Prima la decisione dell’UE di non dare asilo ai richiedenti sul confine polacco (per non aggravare il conflitto già in essere con il governo di Varsavia), il fatto di non riconoscere il governo di Lukashenko sempre da parte UE, l’affossamento del CAI – Comprehensive Agreement on Investment con la Cina ad opera di Bruxelles (più di un terzo dell’interscambio Ue-Cina appartiene alla Germania e in termini di valore è praticamente il doppio del resto d’Europa) e infine il dirompente conflitto russo ucraino che ha costretto la Germania ad interrompere bruscamente i rifornimenti vitali di gas, e idrocarburi in generale, in forza delle sanzioni imposte dalla UE stessa. Vale la pena sottolineare che l’ossatura dell’industria tedesca è costituita dall’industria pesante che è un’industria energivora. Brutte notizie anche per la nostra economia (Italiana, ma non solo) che vede il nord est appartenere alla catena del valore tedesco, nella produzione della componentistica.
La chiusura o il trasferimento negli USA di una fabbrica in Germania (che offrono notevoli incentivi a chi trasferisce gli impianti – senza parlare dei possibili dazi promessi da Trump) significa la chiusura di almeno una azienda nel nostro territorio.
In una Nazione in cui il surplus commerciale è vitale per i notevoli fattori di disomogeneità interna ( due per tutti, metà popolazione cattolica, metà protestante e ancora la frattura sociale e culturale che tuttora esiste con la ex DDR) vi potrebbe essere un cambio di postura verso gli Stati Europei, ossia che la Germania non è più disponibile a fare da garante per tutti, se quella stessa UE la continui a mortificare nei suoi interessi economici, vitali per la sua stessa unità e pace sociale.
L’evoluzione con l’elezione di Trump
Ovviamente il discorso è molto più complesso, ma che la Germania debba essere un’osservata speciale è fuori discussione e porrei molta attenzione al voto, in caso di sfiducia all’ attuale governo. Il probabile isolazionismo di Trump, nel caso prevalga sugli apparati, sarà un tassello importante di un’ evoluzione che potrebbe rivoluzionare gli assetti e persino le istituzioni europee. In tal senso vale la pena ricordare che già esiste, su istanza delle classi dirigenti neo liberali (quindi non gli estremi come l’AFD), un piano completo per una Unione Europea del nord con una sua moneta unica, che andrebbe ovviamente a sostituire l’Euro.
Elezioni e nuovi scenari
Ferma restando l’ attenzione di quanto sopra esposto che non è fantapolitica, in caso di elezioni anticipate probabilmente sarà una coalizione a guida CDU a governare il Paese, ma sarà la CDU dei falchi ( proprio per arginare l’ AFD) e sul banco degli imputati ci sarà Bruxelles, la BCE e le risorse destinate per attenuare i differenziali di Italia e Spagna. Sarà pertanto fondamentale il dialogo all’interno della famiglia del Partito Popolare Europeo per operare una sintesi tra le esigenze tedesche e gli impegni europei.