venerdì, 22 Novembre, 2024
Società

L’importanza della Missione femminile

Sono molteplici e gravi i problemi sollevati dalla cosiddetta “questione femminile”: problemi psicologici, economici, sociali, giuridici, politici; culturali soprattutto, perché le profonde e rapide trasformazioni del nostro mondo hanno avuto una particolare incidenza e rilevanza sulla “immagine” della donna.

Siamo quindi invitati ad una riflessione e ad una meditazione, che non può non partire che dal disegno di Dio sulla donna.

“Al principio” di questi problemi, alla radice di essi c’è il peccato che deforma il senso dei rapporti tra uomo e donna: l’uguaglianza, la comunione e la donazione sono minacciate e rovinate dalla disuguaglianza, dalla contrapposizione, dal dominio e dal possesso.

Nella situazione storica concreta è proprio a causa del peccato, che il rapporto con Dio si è rotto e questa frattura ha portato come conseguenza altre rotture: nello stesso io dell’uomo, si rompe l’integrità dell’uomo, nella relazione tra uomo e donna, nel rapporto dell’uomo con il creato. Al posto del dono di sé è subentrata la volontà di dominio, che caratterizza oggi la relazione fra l’uomo e la donna. Questa da “co-soggetto” diviene oggetto.

Il punto di partenza della meditazione, soprattutto di Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica “Mulieris Dignitatem” e nella sua “lettera alle donne” del 1995 è, infatti, l’idea biblica dell’uomo creato “a immagine e somiglianza di Dio”, cioè “persona” e dunque “relazionalità”, in relazione all’altro. Pertanto, senza voler fare facile polemica, una delle cause più recenti della situazione che stiamo vivendo non può non essere individuata in quel clima sessantottino dell’“utero è mio e lo gestisco io”, che rompe ogni relazione con l’uomo, anche dal punto di vista “unitivo”, avendo già rotto la relazione di tipo procreativo. L’emancipazione femminile promossa dal 68′ ha prodotto innegabili frutti e ha riconosciuto diritti importanti alle donne; ma si deve riconoscere che tutto questo è avvenuto a scapito della maternità, della coesione famigliare, e dell’equilibrio sociale fondato sulla diversità. L’emancipazione femminile unita alla liberazione sessuale ha prodotto come effetto collaterale una mercificazione del corpo femminile, ridotto a strumento di piacere, alimentando anche le violenze sessuali. Mai la donna-oggetto è stata così avvilita come nella società dei consumi. Fino agli uteri in affitto e al traffico dei figli artificiali per le coppie Lgbt. La civiltà romana fu matriarcale, dette alla donna un ruolo preminente, di matrona, al centro della casa, punto fermo. Alla luce del ’68 la famiglia appare una struttura arcaica, autoritaria, repressiva. Col ’68 la famiglia diventa accoppiamento. Al sesso si addice il piacere. La famiglia è il luogo in cui la solidarietà, la cura degli altri o la dedizione, non è retorica o slogan ideologico ma pratica di vita, naturale. Gli ultimi sono davvero i primi nelle attenzioni di chi ama.

Ma torniamo al disegno divino: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò”; Dio interviene per farlo uscire da una situazione di solitudine: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Nella creazione della donna è inscritto, dunque, sin dall’inizio il principio dell’aiuto: aiuto – si badi bene – non unilaterale, ma reciproco: donna e uomo sono tra loro complementari.

Quando la Genesi parla di «aiuto», non si riferisce soltanto all’ambito dell’agire, ma anche a quello dell’essere. Femminilità e mascolinità sono tra loro complementari non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma ontologico. È soltanto grazie alla dualità del «maschile» e del «femminile» che l’«umano» si realizza appieno.

Dopo aver creato l’uomo maschio e femmina, poi Dio dice ad entrambi: “Riempite la terra e soggiogatela”. Non conferisce quindi loro soltanto il potere di procreare per perpetuare nel tempo il genere umano, ma affida loro anche la terra come compito, impegnandoli ad amministrarne le risorse con responsabilità. E’ l’« unità dei due », ossia una « unidualità » relazionale, che consente a ciascuno di sentire il rapporto interpersonale e reciproco come un dono arricchente e responsabilizzante.

Questa prospettiva teologica aiuta a comprendere in profondità anche gli aspetti umani della dignità e della vocazione della donna. Centrale e decisiva è l’affermazione della “dignità personale” della donna e nello stesso tempo del valore della sua femminilità. Come persona e come donna è chiamata dunque a realizzarsi nella comunione con l’altro.

Riconoscere la pari dignità e l’uguaglianza di uomo e donna non ne cancella la diversità; e la diversità delle funzioni non intacca l’uguale dignità che appartiene all’uomo e alla donna per natura. Generare appartiene sia all’uomo che alla donna, che però vi mette molto più di sé letteralmente, che l’uomo. Se ne ricava che esiste uno speciale “debito” dell’uomo verso la donna, fino al punto che l’uomo “impara dalla madre ad essere padre”. Come vedete la dottrina cattolica ribalta la prospettiva e dà la prevalenza alla donna, anche rispetto all’uomo.

Nella società la donna è chiamata a vivere la sua dignità e la sua vocazione. A lei, come persona e nella sua femminilità è affidato in modo speciale ogni essere umano e tutto ciò che è essenzialmente umano. E cosi che diventa centrale nella stessa storia dell’umanità.

Per questo bisogna lavorare alla crescita della coscienza di questa missione femminile e della sua attuale e decisiva importanza: in una società e in una cultura nelle quali lo sviluppo scientifico tecnico è spesso unilaterale e distorto, il rischio che si corre è la graduale scomparsa della sensibilità per la persona umana. Sotto questo profilo bisogna essere consapevoli che l’avvenire dell’umanità passa attraverso la donna. La donna è la custode dell’essere umano nella sua umanità.

Oggi è l’ora di guardare con il coraggio della memoria e il riconoscimento delle responsabilità alla lunga storia dell’umanità, a cui le donne hanno dato un contributo non inferiore a quello degli uomini, e il più delle volte in condizioni ben più disagiate. “Penso, in particolare, – scrive San Giovanni Paolo II nella sua Lettera alle donne – alle donne che hanno amato la cultura e l’arte e vi si sono dedicate partendo da condizioni di svantaggio”…

“Rispetto a questa grande, immensa «tradizione» femminile, l’umanità ha un debito incalcolabile.
Nella attuale fase storica di crisi dell’umanità e dell’umanesimo è necessario che venga alla luce, il “genio” della donna, la sua sensibilità per l’essere umano. “I gravi problemi sul tappeto vedranno, nella politica del futuro, – continua il grande pontefice – sempre maggiormente coinvolta la donna: tempo libero, qualità della vita, migrazioni, servizi sociali, eutanasia, droga, sanità e assistenza, ecologia, ecc. Per tutti questi campi, una maggiore presenza sociale della donna si rivelerà preziosa”.

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