domenica, 17 Novembre, 2024
Il Cittadino

Maschio e femmina (Dio) li creò

Una rubrica come questa, che ha la presunzione di occuparsi dei diritti dei cittadini, non poteva perdere l’occasione data dalla nomina della Professoressa Marta Cartabia a Presidente della Corte Costituzionale, per affrontare la questione dei diritti delle donne.

Tema che ad un giovane d’oggi, di entrambi i sessi, può apparire banale, inutile, superato, abituato come è a vedere una sostanziale parità sociale tra uomo e donna; tutt’al più conscio di una possibile prevaricazione maschile soprattutto sotto forma di violenza contro le donne.

Tema che, invece, a un giovane-vecchio come il sottoscritto, che ha navigato l’intera seconda metà dello scorso secolo, appare quanto mai utile affrontare: magari anche con una punta di orgoglio generazionale, perché proprio durante il periodo della mia esistenza vi è stato quel riconoscimento dei diritti della donna, dagli anni del dopoguerra ad oggi, che ha consentito, per l’appunto, che la professoressa Cartabia rompesse quel “tetto di cristallo” metaforico dalla stessa evocato, che ancora resiste in molti settori (tra questi, proprio nell’ambito della Giustizia, la Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti).

Anzi, visto il disastro che la mia generazione ha determinato sul clima e sul futuro anche economico dei nostri figli, è l’unico successo di cui quelli della mia epoca – uomini, ma  soprattutto donne – possano andare orgogliosi.

Per capire da cosa si partiva consiglio di immergersi nei film degli anni Cinquanta. Da non perdere, per capire il clima (al netto delle esagerazioni siciliane), quel meraviglioso “Sedotta e abbandonata” del 1964 di Pietro Germi, con interprete quella “autentica Venere” che era Stefania Sandrelli a sedici anni (musa ispiratrice, tra l’altro, sulla spiaggia di Bagheria, di “Sapore di sale” di Gino Paoli).

Era una società, insomma, che i giovani d’ambo i sessi di oggi neppure possono ipotizzare. Un’epoca in cui il codice penale doveva regolare l’ipotesi della “concubina” imposta dal marito nella casa coniugale alla moglie (art. 560, cancellato solo nel 1969 dalla Corte Costituzionale) e che giustificava il delitto d’onore: delitto al centro di altro mirabile film di Germi del 1961, “Divorzio all’italiana”: l’assassinio “d’onore” della moglie indotta al tradimento, l’escamotage trovato da  Marcello Mastroianni, innamorato della bellissima Angela (una Stefania Sandrelli ancora più giovane e conturbante). Delitto, da notare, che salvaguardava chi uccideva la moglie, la figlia o la sorella (ma non il figlio o il fratello) e che avrebbe resistito anche alla riforma del diritto di famiglia del 1975, per essere abrogato soltanto nel 1981.

Evoluzione dei costumi propedeutica e necessaria all’emancipazione sociale e professionale della donna. Se oggi non fa impressione trovare al vertice di aziende o a capo di importanti uffici pubblici una donna, lo si deve a quella evoluzione maturata proprio dagli anni sessanta in poi.

Difficilmente vi sarebbero potute essere donne managers o donne magistrato o giornaliste libere ed impegnate, se prima la donna non avesse conquistato – con fatica occorre dire – la libertà di muoversi nella società senza condizionamenti sociali e senza quelle condanne morali, riservate sempre al sesso ex debole, che faceva definire ancora come concubinato, alla fine degli anni 80, in una sentenza della Cassazione, un rapporto di convivenza al di fuori del matrimonio.

Viaggio lungo, avendo dovuto la donna occidentale conquistare addirittura l’anima: ma questa sembra essere stata una fake news ante litteram, propagandata dall’illuminismo e dal protestantesimo.

Certo ha dovuto lottare per conquistare il diritto di disporre del proprio patrimonio, attraverso la dote consegnata al marito: dal quale neppure ereditava: perché, spiegava il Torrente del 1962 (prima che il diffusissimo manuale di diritto privato, divenisse Torrente-Schlesinger), non si voleva che attraverso la moglie il patrimonio passasse ad un’altra famiglia.

Insomma: viva le donne, evviva una parità che era già nel loro essere, ma che doveva essere comunque conquistata: perché le donne hanno sempre saputo che «Quando Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò» (Genesi 5. 1,2).

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